domenica 28 febbraio 2010

QUANTO COSTA BRUCIARE CARBONE


La Scuola di Salute Pubblica della prestigiosa Università statunitense di Harvard a Boston ha recentemente pubblicato un interessante articolo sulla quantificazione dei danni correlati alla salute ed all’ambiente negli impianti di produzione elettrica degli USA che bruciano carbone. Lo studio muove dalla constatazione che le centrali a carbone producono danni esterni agli impianti ma che esiste una variabilità ed una incertezza nella loro determinazione legate a diversi fattori. Tra questi la quantità di sostanze inquinanti emesse, la loro distribuzione dovuta alle condizioni atmosferiche e la distribuzione della popolazione rispetto agli impianti medesimi. Per questo i ricercatori di Harvard hanno voluto monetizzare il danno prodotto da 407 centrali a carbone sulla base della mortalità prematura nella popolazione connessa a queste attività ed hanno stimato che il danno prodotto varia da 30.000 $ a 500.000 $ per tonnellata di polveri sottili (PM 2.5), quelle cioè che entrano nell’albero respiratorio e nel circolo sanguigno, da 6000 $ a 50000 $ per tonnellata di SO2 emessa, da 500 $ a 15000 $ per tonnellata di NOx e da 0,02 $ a 1,57 $ per kilowattora di energia generata. Nel modello utilizzato la mortalità della popolazione aumenta del 1.2% per ogni aumento di microgrammo/m3 della media annuale di emissione del PM 2,5 (tipo polvere che qui da noi neppure viene misurato).
Alla luce di questo studio è lecito domandarsi se le istituzioni locali ed i loro tecnici, al tavolo delle trattative con le aziende elettriche per definire i termini delle convenzioni e, a prescindere da queste, quando prendono decisioni sullo sviluppo locale e sui controlli ambientali e sanitari, tengano conto di queste valutazioni. Se applicassimo i numeri del lavoro citato alla realtà locale risulterebbe che per 100.000 tonnellate di NOx emesse ogni anno il danno esterno è quantificabile tra i 50 milioni di dollari a 1,5 miliardi di dollari. Danni che vengono pagati solo dalla collettività la quale continua comunque ad acquistare la stessa energia elettrica per la cui produzione riceve un detrimento. Quanto all’Università locale, le poche volte che l’abbiamo vista nominata sulla questione energetica sono state quelle in cui era necessario indicare l’affiliazione di qualche docente consulente di parte aziendale intervenuto sulla stampa, e purtroppo non sulle riviste scientifiche, per dire “che va tutto bene madama la marchesa”. È lecito allora chiedersi: ma quale Università pubblica vogliamo e continuiamo a finanziare in Italia se persino quella statunitense, sostenuta peraltro in gran parte da fondi privati, fa ricerca su questioni di vitale interesse per la salute pubblica?

martedì 16 febbraio 2010

COME SONO STATI SPESI I SOLDI PER LA SALUTE NEL 2008



La struttura della spesa sanitaria nella Regione Puglia è stata oggetto di un’analisi realizzata attraverso l’esame dei bilanci consuntivi 2008 delle sei ASL pugliesi.
Su circa 6,5 miliardi assegnati dalla Giunta Regionale, il disavanzo è stato di 173 milioni, 40 in più del 2007 e ciò nonostante le ASL abbiano ricevuto circa 300 milioni in più rispetto allo stesso anno.
La quota destinata ad acquisto di beni è stata del 9% quota troppo bassa per finanziare l’innovazione tecnologica, considerando che in questa voce sono inclusi anche i materiali di consumo ed i beni non sanitari. Il costo del personale rappresenta il 26% delle assegnazioni di cui il 21% per quello sanitario ed il 2% per quello amministrativo. I pugliesi nel 2008 hanno tirato fuori dalle loro tasche circa 80 milioni, 37 come ticket per partecipazione alla spesa sanitaria, 40 per libera professione intramoenia, quest’ultima al netto della quota in extramoenia, che non viene registrata nei bilanci asl, della nota evasione fiscale e di quanto acquistato direttamente presso le strutture private. Quindi, solo per la libera professione intramoenia dichiarata i pugliesi pagano circa 10 euro a testa. Le ASL spendono il 58% dei loro bilanci per acquistare servizi sanitari da strutture sanitarie diverse da quelle gestite direttamente, il 43% da strutture sanitarie private. Di quest’ultima quota, circa 3 miliardi di euro, 412 milioni (6.3%) servono per la medicina generale, 872 milioni (13.3) per i farmaci venduti nelle farmacie convenzionate, 210 milioni (3.2%) per la medicina specialistica, 536 milioni (8.2%) per l’ospedalità privata.
Le assegnazioni pro-capite del 2008 risultano differenti nelle diverse ASL. Rispetto alla media regionale: ricevono risorse maggiori le Asl BAT (+87€), Brindisi (+51€), Lecce (+19€), minori le Asl di Foggia (-45€), Bari (-23€), Taranto (-20€).
Mettendo in relazione la spesa per acquisto di servizi sanitari da privati con il costo del personale si osserva un effetto paradossale e cioè il costo del personale dipendente è più elevato laddove è più elevata la spesa per acquisto di servizi sanitari da privati e la correlazione si conferma sia se l’analisi viene condotta per tutto il personale che per il solo personale sanitario ed amministrativo.
Un fenomeno degno di attenzione è rappresentato dal fatto che, a fronte di un incremento delle assegnazioni in tutte le Asl nel 2008 (dal 4.0% di Lecce al 7.8% della BAT) rispetto all’anno precedente, il disavanzo viene ridotto solo nelle ASL di Lecce e Bat mentre aumenta in tutte le altre. Quindi, se si rispettasse la legge, solo i direttori generali di queste due ASL dovrebbero essere confermati nel loro incarico.
È stata inoltre condotta un’analisi sul rapporto tra il valore delle prestazioni prodotte dai quattro ospedali della ASL di Foggia (90 milioni) ed il costo della loro gestione (180 milioni). La produttività delle strutture sanitarie a gestione diretta appare, da questo esempio, molto bassa.
Da questa analisi emerge che il servizio sanitario impiega la metà del bilancio per gestire le proprie strutture sanitarie mentre l’altra metà serve a comprare servizi sanitari da privati. Le Asl si stanno trasformando in stazioni appaltanti anche per i servizi sanitari. La produttività delle strutture a gestione diretta è molto bassa. Questo dimostra che la richiesta di ulteriori finanziamenti per la sanità meridionale non è del tutto fondata finché le risorse impiegate non saranno meglio utilizzate. Vi è una notevole sperequazione tra le risorse assegnate nelle diverse Asl mentre la quota per l’acquisto di nuove tecnologie è troppo bassa per pensare di ridurre il divario rispetto al nord del Paese.L’intera analisi, condotta dall’associazione Salute Pubblica, è disponibile a seguente indirizzo http://salutepubblica.org/uploadtest/Servizio%20Socio-Sanitario/Bilanci%20ASL%202008_puglia.pdf