martedì 21 dicembre 2010

IL RIGORE SCIENTIFICO DEI "NOALCARBONE"

Salute » 20/12/2010

Il rigore scientifico dei "No al Carbone". Di Maurizio Portaluri

All'incontro promosso dall'Idv di Brindisi venerdì scorso, alla presenza del Presidente della Provincia, dell'Assessore regionale all'ambiente Nicastro, del sen Caforio, del dirigente regionale Antonicelli e del consigliere regionale Idv eletto a Lecce Gianfreda, dell’ing. Riccardo Rossi dei “Noalcarbone”, Lorenzo Caiolo, il coordinatore provinciale Idv, introduceva il dibattito sul tema "Energie rinnovabili, da risorsa a scempio".
Il Presidente Massimo Ferrarese ha preso la parola per primo presentando le sue attività ambientali(ste): contrasto all'impianto di GPL, contrasto al fotovoltaico selvaggio favorito da una legge regionale e, soprattutto, l'accordo barese (tra Vendola, Mennitti e lo stesso Ferrarese) che prevede una riduzione del carbone del 15%, combustione del Cdr, carbonile coperto e filtri per alcuni inquinanti.
Il tutto "senza manifestazioni", ha precisato, orgoglioso della sua azione che cerca di mettere le pezze a scelte passate, a suo parere, disastrose per l'ambiente.
A questo punto prende la parola l'ing. Rossi che, con encomiabile pacatezza e scientificità, presenta una serie di numeri e domande. La copertura del carbonile ed i filtri dovrebbero essere atti dovuti, perché farne oggetto di convenzioni? A Civitavecchia i limiti concordati sono quattro volte inferiori a quelli validi per Brindisi, perché, visto che siamo in Italia ed in Europa anche qui? La richiesta di Via dell'Enel prevede la trasmissione quotidiana a Comune, Provincia ed Arpa dei valori degli inquinanti al camino: tutto ciò avviene? Cerano fattura più di un miliardo all'anno, ma solo meno di 100 milioni sono destinati al lavoro locale: perché non si spendono parte degli utili per portare il rendimento della non più moderna centrale dal 35% al 45%, riducendo così, tra l'altro, le quantità di carbone necessarie? Infine, il 15% in meno di quale quantità di carbone? Quella attuale, quella del 2002, quale?
Tutte domande legittime queste dei "Noalcarbone". Ma non per Ferrarese che, interrompendo bruscamente l'oratore, sciorina una filippica in difesa delle istituzioni locali e della loro capacità di tutelare il territorio e gli offre, polemicamente, una delega in bianco per trattare con l'Enel. "Adesso devo scappare" e lascia in asso ospiti ed uditorio.
Nervi a fior di pelle per questa stretta finale delle trattative con gli enti elettrici.
Interviene Caiolo, invita alla calma e a proseguire il momento di studio e approfondimento.
L'episodio insegna che: gli ambientalisti brindisini non si fanno prendere per il naso e che le loro argomentazioni sono documentate e scientificamente fondate; certa politica non sa ancora accettare il confronto ed il contraddittorio con i cittadini; la bozza barese, quella che Vendola, Mennitti e Ferrarese si apprestano a discutere con Enel, parte dal presupposto che o si chiede poco o l'Enel continuerà a seguire la convenzione del 2002, quella della mano libera.
Troppo poco.
Riccardo Rossi, Ferrarese ormai lontano dalla sala, ha concluso il suo intervento chiedendo indagini epidemiologiche serie che evidenzino i danni alla salute dei brindisini intorno alle centrali. Unico punto di accordo con Ferrarese, è sembrato di capire da una battuta di quest'ultimo, la contrarietà alla combustione del CDR.
L'Assessore regionale ha promesso che andrà a leggersi la convenzione di Civitavecchia (Italia).
Bravo Caiolo che fa politica sui problemi, avanti così "Noalcarbone" con rigore scientifico.

domenica 28 novembre 2010

SANITA': TROPPI CONVEGNI, POCHE RISPOSTE CONCRETE




Mi fa piacere che il consigliere regionale Giovanni Brigante, eletto alle ultime elezioni con la lista “La Puglia per Vendola” inizi ad occuparsi del servizio sanitario promuovendo il convegno “La sanità in Provincia di Brindisi” al quale ha invitato a parlare per lo più illustri medici brindisini che operano in strutture del centro nord.
Egli vuole fare , dice anche il titolo dell’incontro, “analisi e proposte alla luce di esperienze in altre realtà del paese”.
Auguro all’iniziativa successo di pubblico e di idee.
Ma devo dire a Brigante che gli operatori sanitari brindisini lo aspettano nelle strutture in cui operano ogni giorno, per fargli conoscere le cose buone che fanno e le condizioni in cui sono a volte costretti ad operare.
Mi sembrerebbe un modo più efficace per realizzare “analisi e proposte”.
Penso che in un anno del suo mandato conoscerebbe la realtà di tutte le unità operative della asl e sentirebbe anche la voce degli ammalati, con beneficio per il suo mandato ed anche per il suo consenso.
Apprenderebbe così che, nonostante i brindisini abbiano primati di mortalità per tumori al polmone, malattie gastrointestinali, malattie della tiroide, malattie cardiovascolari, rilevabili dai dati ISTAT, a Brindisi, nell’era Vendola come nell’era Fitto, non c’è ancora una cardiochirurgia, una chirurgia toracica, una gastroenterologia ed un percorso integrato per le malattie della tiroide.
Solo per fare alcuni esempi.
E ciò nonostante il fondo sanitario pugliese negli ultimi 5 anni sia aumentato da 4 a 7 miliardi di euro, cioè del 75%, senza contestualmente impedire che il deficit delle amministrazioni sanitarie crescesse.
Ma spero che il convegno sarà utile per chiedere all’Assessore alla Salute che cosa ne è stato della dichiarazione rilasciata alla stampa proprio al “Perrino” il 28.12.2009 inaugurando il reparto di oncologia: “Su Brindisi c’è anche un investimento tecnologico che parte in queste settimane che è quello di realizzare qui la protonoterapia che rappresenta un elemento di netta avanguardia su tutto il territorio nazionale”.
A questa dichiarazione sono seguiti due ordini del giorno di apprezzamento unanimente approvati dal Consiglio Comunale e Provinciale e dal Consiglio dell’Ordine dei Medici. Ah certo, il Governo nazionale, Tremonti, il piano di rientro e così via. Da quel che ne so, quell’investimento è volato nel Lazio, come le cronache di questi giorni hanno annunciato.
Capisco che il consenso abbia le sue esigenze mediatiche, ma non condivido la demagogia sulla pelle delle persone. Meglio non prenderli in giro quei brindisini costretti a riempire i voli della Ryanair per trovare realtà ospedaliere dove le patologie vengono curate in maniera multidisciplinare.
Peccato, per queste carenze politiche e gestionali oltre i soldi che ci rimettono di tasca propria i brindisini, vengono persi anche 100 milioni (un sesto del bilancio ASL) all’anno di nostro denaro pubblico per la mobilità passiva pagata ad altre Asl e Regioni dal Servizio Sanitario per rimborsare le cure lontano da casa.
L’ iniziativa del Consigliere Brigante cade in un momento particolare per la sanità pubblica brindisina. La recente vicenda “assenteismo” e “liste di attesa” alimenta il “mantra” per cui il servizio pubblico è inefficiente, meglio privatizzare.
Non aiutano a contrastare questa deriva né le prese di distanza né la mancata difesa di chi invece lavora e lavora molto. Basterebbe che il mangement filmasse come si lavora duramente di notte, dopo qualche incidente mortale sulle nostre strade, nelle sale operatorie del “Perrino” per capire che senza questo servizio pubblico nessun privato, neppure quello del tanto beneficato don Verzè, si accollerebbe un impegno di quel tipo, veramente “no profit”.
Altro che filmino delle timbrature truffa!
Brigante viene dall’impresa privata e potrà capire quello che sto per dire. Sarà difficile credermi, ma io ammiro molto il management delle grandi industrie di Brindisi ed i loro lavoratori quando, di fronte ad un qualsiasi “guaio” che ne compromette l’immagine, insorgono a difesa dell’impresa a volte contro ogni evidenza.
Non so cosa stiano insegnando ai super manager selezionati dai Tre Saggi alla regione per metterli alla guida delle ASL, ma io i futuri manager li manderei in queste grandi aziende a capire perché la “tua” azienda la devi difendere sempre e soprattutto la devi promuovere facendo conoscere all’esterno quello che fa di buono. E nel pubblico, più che nel privato, si fanno tante cose buone, nonostante gli ostacoli che a volte vengono dall’alto, se non altro perché il pubblico può permettersi di dire dei “no” di fronte a richieste di cure inappropriate.
Va bene, dunque, guardare fuori regione, per capire perché lì alcune cose funzionano meglio. Mi pare che i manager chiamano questo “benchmarking” ( ho imparato anch’io un po’ di “direttorese”). Ma un mio amato Maestro, quando giovani medici scalpitavamo per andare a visitare centri stranieri, ci diceva: “Cominciate a fare qui e poi andate a confrontarvi con gli altri”. Si cominci a guardare come vanno le cose a casa nostra, intervistando anche gli ammalati, e poi si capirà cosa c’è che non va guardando a casa degli altri.
Benvenuto allora al Consigliere Brigante nel dibattito sulla sanità. Lo aspettano negli ospedali e negli ambulatori della provincia, dopo l’interessante convegno, operatori ed ammalati.

lunedì 18 ottobre 2010

QUANDO A BRINDISI VOLEVANO COSTUIRE L’OSPEDALE SAN RAFFAELE




L'amore di don Verzè per la Puglia è antico. Già nel 2001 provò a costruire un ospedale.
“Quando non ci arrivano le istituzioni – leggiamo nelle cronache dell'epoca - provvede la sensibilità di un artista a fare da collante per la realizzazione di progetti utili alla gente della propria terra.
Esattamente come sta accadendo per il progetto di un centro oncologico che sorgerà in Puglia, a Cellino San Marco per la precisione, e si avvarrà del supporto tecnicoscientifico dell' Istituto San Raffaele di Milano, fondato e presieduto da Don Luigi Verzè. Un progetto che piano piano sta diventando realtà grazie ad Albano Carrisi che ha già donato i terreni dove far sorgere l' Istituto Oncologico Mediterraneo: nove ettari di suolo, vicino alla tenuta di famiglia "Il bosco", un terreno fertile pieno di alberi dove c' è una vecchia masseria che sarà ristrutturata.
«Tutto è nato per caso grazie ad una canzone, o meglio ad un inno che mi hanno chiesto di scrivere per il San Raffaele», dice Albano nel corso della conferenza stampa organizzata nella sua azienda a Cellino San Marco per presentare ufficialmente il progetto e la Fondazione Onlus "Albano e Ylenia Carrisi".
« È stata una folgorazione reciproca, ci siamo intesi subito (con don Verzè, ndr) e quando mi ha parlato delle difficoltà incontrate per realizzare un centro oncologico nel Tarantino, ho subito offerto la mia collaborazione, proponendo Cellino San Marco come sede. Sono un artista e di medicina capisco poco, ma so che in questa zona c' è un altissimo tasso di tumori e che non si contano i viaggi della speranza periodicamente fatti dalla povera gente colpita da terribili drammi familiari. ».
Poi le cose sono andate male. Fitto regnante, la Regione doveva recuperare un deficit enorme in sanità e non voleva caricarsi i costi delle prestazioni generate dal nuovo istituto, a Bari non volevano perdere la centralità (quale?) del loro Istituto Tumori e così non se ne è fatto più niente.
Le cose vanno meglio con Vendola Presidente, Assessore Tedesco e poi Fiore, che riprende a tessere i rapporti con don Verzè. Lo strumento dell'accordo è previsto dalla legge e si chiama sperimentazione gestionale: una società pubblico-privato con il 51% al pubblico.
Costo dell'operazione 210 milioni, 120 della Regione Puglia, 80 del San Raffaele e 10 dello Stato. Tutto regolare sembrerebbe. Ma sugli organi di informazione incomincia a circolare qualche notizia sulla compagine sociale della nuova fondazione. Ogni socio ci mette del suo e don Verzè ci mette qualcuno dei suoi che è anche nella MolMed spa, Molecular medicine, società partecipata da Berlusconi per sconfiggere il cancro in poco tempo, come dichiarò qualche mese fa.
Inoltre, solo per la cronaca, un dipendente di don Verzè è anche l'attuale Ministro della Salute, Ferruccio Fazio.

MA IL SAN RAFFAELE ERA L'UNICO ECCELLENTE?

Ma perché la Regione Puglia sceglie un partner senza percorrere una procedura ad evidenza pubblica, cioè una gara? In fondo il San Raffaele non è l'unica eccellenza sanitaria in Italia.
C'è l'Istituto Tumori di Milano, l'Istituto Europeo di Oncologia, l'Università Cattolica del Sacro Cuore, L'Istituto Candiolo di Torino, per citarne alcuni. Perché, rispondono a Bari, il San Raffaele è una Onlus, cioè un ente no-profit.
Qualcuno però ricorda che il Consiglio di Stato, recentemente ha sentenziato che la Fondazione San Raffaele «svolge attività commerciale, il fatto che non persegua utili o che gli utili siano reinvestiti nell’attività non esclude che essa svolge iniziative di carattere economico con modalità tali da consentirle di permanere sul mercato e di concorrere con altre strutture enti e società che operano nel settore sanità».
Ma comunque, perché non utilizzare criteri oggettivi, cioè basati sui basilari principi di maggiore efficienza e maggiore economicità, oltreché più rispettosi del fondamentale canone Costituzionale dell’imparzialità della P.A., anche per scegliere un partner scientifico? L'impact factor della sua produzione scientifica in un particolare settore, i risultati delle terapie in alcune patologie?
Non risulta che queste domande siano state poste dagli attuali rappresentanti dell’amministrazione regionale né che abbiano avuto preventiva risposta da parte del partner scientifico.
Un altro affidamento diretto si fece sempre in Puglia alla fine degli anni '90 a Ceglie Messapica in provincia di Brindisi per un grande centro di riabilitazione, dove la scelta cadde su un'altra fondazione, denominata sempre San Raffaele ma di proprietà del gruppo editorial-sanitario Angelucci di Roma.
Una struttura che costa circa 100 milioni l’anno, che gode di buona considerazione e soprattutto è tra le poche del genere nel Meridione. Nessuno potrà mai dire se lo stesso servizio si sarebbe potuto rendere, con minori costi o con la stessa qualità, mediante una gestione diretta da parte del pubblico.
Ovviamente, come sempre, abbiamo dati quantitativi ma non qualitativi, cioè sappiamo quanti ammalati vengono curati ma non quanti ne guariscono. Ma questo è un altro problema.

IL PATTO DELL'ASTICE ED I TUMORI CHE VANNO E VENGONO

Ma torniamo alle cronache del 2001 dalle quali questa nota ha mosso i primi passi.
Siamo a Cellino, nella tenuta di Albano Carrisi, neo-socio di don Verze nella “Fondazione Albano e Ylenia Carrisi”.
“In Puglia, così come sottolineato dal capo di gabinetto della Provincia di Brindisi Luigi Potenza, si contano negli ultimi anni oltre 270 mila casi di tumori con 150 mila decessi (fortunatamente le cifre sono sbagliate perché si riferiscono all'Italia ndr). «Di questi casi - ha detto Potenza - i più numerosi si sono registrati nella provincia di Brindisi e il dato diventa ancor più preoccupante se si considera che solo nella piccola Torchiarolo circa 200 persone sono state colpite dal male incurabile».
Nonostante ad Albano non sia riuscito di realizzare il sogno di don Verzè, l'artista brindisino ha continuato a dare il suo sostegno alla cura dei tumori e con Massimo Ferrarese è Copresidente della “Fondazione per la Puglia” con la quale vengono raccolti fondi destinati a sostenere le cure oncologiche soprattutto, sinora, attraverso borse di studio.
Ferrarese nel frattempo è diventato presidente della Provincia di Brindisi per il centro-sinistra. Recentemente ha attaccato il piano di rientro dal deficit in sanità di Vendola che prevede chiusure di posti letto. La sua controproposta è stata quella di chiedere 100 milioni per ammodernamenti tecnologici.
Poi, una sera di agosto a Campo Marino Vendola e Ferrarese si sono incontrati davanti ad un piatto di spaghetti con l'astice per discutere di sanità e carbone.
Infatti a Brindisi c'è da ridurre il consumo di carbone. Si fanno centrali a biomasse, si fanno fotovoltaici al posto delle coltivazioni agricole, ma il carbone che si brucia è sempre lo stesso.
A Ferrarese, impegnato a sostegno delle cure oncologiche, non risulta che a Brindisi ci siano più tumori che altrove. Forse non ha avuto il tempo di parlare con Albano e del suo progetto del 2001.
A Vendola non sappiamo cosa avrà chiesto per la sanità Brindisina. Sicuramente avrà chiesto di firmare subito le convenzioni con le società elettriche che ormai sono disposte ad accettare qualsiasi riduzione del carbone pur di togliersi dal collo il morso delle inchieste. Eppoi con le firme delle convenzioni le richieste di studi ed approfondimenti epidemiologici ed ambientali degli ambientalisti si andranno a fare benedire.
Per convincere l'unico restio, Mennitti, via libera all'impiego del Combustibile da Rifiuti nella centrali.
I rifiuti ossessionano tutti i Sindaci ed anche quello del capoluogo. Non riescono a comprendere che se si fa una buona raccolta differenziata non servono né discariche né inceneritori. Ma di questi ultimi la Puglia sta per autorizzarne uno per provincia. Eppoi con il riciclo dei rifiuti per ora fa profitti solo una imprenditoria di nicchia e non i grossi gruppi impegnati sui rifiuti e sugli inceneritori.
Così, firmando le convenzioni avremo meno carbone e più diossine, come a Taranto, dove potremo comunque andare a curarci “eccellentemente” facendo prima un aerosol nei fumi dell'Ilva.

LA FAVOLA INSEGNA

Le conclusioni sono due. Una è che i tumori sono tanti quando si devono curare, sono pochi quando si devono prevenire intervenendo sulle cause ambientali e soprattutto industriali.
L'altra è che il mantra, potente e breve formula sonora spirituale che ha la capacità di trasformare la coscienza, secondo cui la sanità pubblica è allo sfascio e non è capace più di curare bene la gente, viene ripetuto anche nelle regioni governate dal centro-sinistra, sicuramente anche in Puglia.
Per cui meglio dare i soldi ai privati per curare la gente malata di “tanti” tumori.




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sabato 11 settembre 2010

IL MISTERO DI CEGLIE MESSAPICA

Ceglie Messapica nasconde un mistero che riguarda la salute dei suoi cittadini ed in particolare delle sue cittadine.
Un ricercatore dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR che ha sede a Lecce, Emilio Gianicolo, insieme ad alcuni colleghi di altri istituti del CNR stesso e dell’Università di Pisa, ricostruendo la mortalità nella provincia di Brindisi dal 1981 al 2001 ha osservato che “il quadro epidemiologico che si riferiva ai residenti nella città di Ceglie Messapica presentava indubbiamente delle criticità degne di approfondimento.
Tra queste criticità si segnalava l’eccesso di mortalità, tra le donne per tumore a trachea bronchi e polmoni, con i casi osservati – 28 – che sono in un numero più che doppio rispetto ai circa 12 casi attesi”.
Cioè in 20 anni i decessi per tumori al polmone nelle donne sono stati più del doppio del numero atteso se si fossero verificati nella misura in cui si verificano mediamente in Puglia.

L’eccesso di mortalità tra le donne per tumore a trachea bronchi e polmone viene riscontrato anche nell’Atlante delle cause di morte della Regione Puglia – Anni 2000/2005 edito dall’Osservatorio Epidemiologico Regionale.
Nell’Atlante si riporta un eccesso di circa il 20% rispetto alla popolazione regionale.

Il 21 gennaio scorso si svolse a Ceglie un interessante convegno sul tema del rapporto tra salute e ambiente.
Durante il convegno, oltre i dati pubblicati dal dott. Gianicolo, fu presentata una ricerca condotta dalla dott.ssa Barletta del Dipartimento di prevenzione dell’ASL di Brindisi da cui si evinceva un numero di decessi osservati tra le donne per tumore a trachea-bronchi-polmone, dal 2002 al 2009, pari a 18 con un eccesso stimato tra il 5% e il 17% a seconda del riferimento assunto.
Insomma, sembrerebbe che anche dopo il 2001 questa maggiore mortalità per tumore al polmone tra le donne di Ceglie non si sia attenuata.
L’Arpa, in un suo studio in cui analizza alcuni eccessi di mortalità afferma: “Per quanto riguarda Ceglie Messapica, si impone un approfondimento, anche attraverso, in prima battuta, l’analisi dei ricoveri ospedalieri. Tuttavia, appare indispensabile contestualmente un’indagine circa un possibile ruolo di fattori di rischio ambientali, prendendo in considerazione eventuali sorgenti emissive puntuali e diffuse e valutando l’eventuale impatto di sorgenti remote.“

A seguito di questo rilievo, il Sindaco Pietro Federico, chiese all’Arpa un monitoraggio della qualità dell’aria. I dati vennero presentati sempre nel convegno del gennaio scorso.
Tutto abbastanza nella norma con un piccolo particolare: “dai dati dell’Inventario delle emissioni in atmosfera emerge un alto contributo della città di Ceglie (oltre il 50%) alle emissioni provinciali, per il macrosettore “Processi produttivi” in corrispondenza dei Composti Organici Volatili (COV)”
I COV sono una serie di sostanze che evaporano facilmente a temperature ambiente. Il termine “organico” indica che i composti contengono carbonio. I COV sono oltre 300, e i più noti sono gli idrocarburi alifatici (dal n-esano, al n-esadecano e i metilesani), i terpeni, gli idrocarburi aromatici, (benzene e derivati, toluene, o-xilene, stirene), gli idrocarburi clorinati (cloroformio, diclorometano, clorobenzeni), gli alcoli (etanolo, propanolo, butanolo e derivati), gli esteri, i chetoni, e le aldeide (formaldeide). Le loro fonti sono numerose, domestiche ed industriali.
Quest’ultimo dato ambientale, presente in modo esclusivo a Ceglie Messapica, potrebbe spiegare l’eccesso di mortalità per cancro al polmone nel sesso femminile, in considerazione del fatto che la popolazione femminile è maggiormente esposta ad un rischio ambientale in quanto più stanziale di quella maschile?
Non sarebbe inoltre necessario, per confermare o confutare questa ipotesi, indagare le abitudini di vita e di lavoro dei 18 casi di cancro al polmone femminili rilevati nel periodo 2002-2009 e svolgere un’analisi approfondita dei ricoveri ospedalieri dei cegliesi negli ultimi decenni?
Solo i misteri che non si vogliono svelare restano tali.

giovedì 12 agosto 2010

DALLA FLORIDA UN ESEMPIO PER BRINDISI. LA COMUNITA' DI PERRY BLOCCA LA COSTRUZIONE DI UNA CENTRALE A CARBONE.

Perry è una piccola comunità di quasi 7000 abitanti nella Contea di Terry, in Florida, USA. Affacciata sul Golfo del Messico è ricca di laghi e di foreste. Piccola, dicevamo, ma non debole quanto a capacità critica. Quando le hanno proposto di costruire una centrale a carbone da 800 MW, la notizia ha provocato una “preoccupazione significativa perchè Perry è una comunità con problemi di giustizia ambientale (una comunità sproporzionatamente toccata da rischi ambientali e che di conseguenza soffre di problemi sanitari e ambientali connessi con quei rischi)”. Ma guarda, il mondo è davvero piccolo!

I tassi per alcune patologie nella Contea d Taylor si attestano nel quarto quartile (cioè sono trai più elevati) per morti da tumore del polmone, incidenza di tumori al polmone, ricoveri per malattie respiratorie croniche, morti per ictus, ricoveri per ictus, morti per attacchi cardiaci, ricoveri per scompenso cardiaco congestizio, morti e ricoveri per diabete. “Tutti questi effetti avversi per la salute sono accentuati dal particolato delle emissioni in atmosfera e da contaminanti come idrocarburi, mercurio, diossido di zolfo, ossido di azoto, polveri sottili e CO2 emesse da un impianto che brucia carbone”.

Sulla base di questa preoccupazione la piccola comunità di Perry (piccola ma non stupida) si attiva e con il sostegno economico dell'Agency for Toxic Substances and Disease Registry, nasce il Taylor County No Coal Coalition (TCNCC) composto dalle associazioni locali (Taylor Residents United for the Environment ,TRUE) dalla Florida Agricultural and Mechanical University (FAMU) e la WildLaw (uno studio legale). La compagine studia le condizioni socio-economiche e sanitarie della zona e le modalità di produzione dell'energia. Sviluppa un dossier che alla fine mette in evidenza come i danni sarebbero maggiori dei benefici.. Ma ciò che colpisce nel dossier, peraltro pubblicato su una rivista della John Hopkins University, la prestigiosa università medica di Baltimora (USA), è che esistono tre modi di bruciare carbone e che il meno pericoloso non era incluso nel progetto: il ciclo combinato con gasificazione integrata. Un metodo di combustione del carbone molto pulito che converte il carbone in gas dopo averne estratto lo zolfo. La gasificazione del carbone permette anche di risparmiare il 15% del combustibile e di migliorare l'efficienza del 12%. Anche 500 medici hanno dichiarato la loro contrarietà alla costruzione della centrale per non aggravare le condizioni sanitarie della popolazione.
Per farla breve, di fronte alle evidenze scientifiche prodotte, neppure le autorità locali hanno potuto autorizzare la centrale. Allo stato (maggio 2010) il permesso alla costruzione della centrale di Perry è stato ritirato.

La favola insegna che 1) le agenzie della conoscenza (tra cui le università) non sempre si mettono a servizio di chi paga la commessa di ricerca, ma anche di chi le sostiene ordinariamente con le tasse, cioè i cittadini 2) spesso le autorità locali non conoscono i processi produttivi che autorizzano e le alternative tecnologiche disponibili.
Sono molte se similitudini tra Brindisi e Perry.. Anche qui l'Ordine dei Medici della Provincia di Brindisi si è espresso contro l'uso del carbone, proprio per la situazione sanitaria che qui si registra. Anche qui si registra un eccesso di malattie aggravate dai rischi ambientali.
Sorge spontanea una domanda: cosa sanno Comune, Provincia e Regione, che andranno prima o poi a firmare le convenzioni con le società elettriche e che dalle stesse accettano sponsorizzazioni di vari eventi, sullo stato di salute della popolazione brindisina, sugli effetti di 40 anni di combustione nella nostra città, sulle alternative tecnologiche disponibili?

venerdì 6 agosto 2010

ANCHE IL CIGNO FA LA CACCA


Non trovo disdicevole che Enel organizzi concerti per promuovere la sua immagine. È un’impresa e fa il suo mestiere. I concerti dell’Enel sono però un’ ottima occasione per far salire alla ribalta le preoccupazioni dei cittadini rispetto all’uso del carbone, che grazie al gruppo di “Noalcarbone”, dall’edizione dello scorso anno, hanno la possibilità di essere espresse con una evidenza mediatica pari a quella riservata all’evento musicale di questa sera.
Nelle scorse settimane si è dato rilievo alla comunicazione fatta dall’Arpa di Brindisi ai presidenti delle province pugliesi che le centraline di rilevamento della qualità dell’aria, site nel nostro territorio, riportano valori nei limiti di legge. Il presidente di Confindustria ha quindi concluso che finalmente “l’anatroccolo nero è diventato un cigno”.
In realtà se le centraline superassero i limiti di legge ci sarebbe una intossicazione di massa. I limiti delle centraline mettono al riparo da effetti gravi ed immediati. Non mettono al riparo da effetti gravi ed a lungo termine come i tumori, le malattie da metalli pesanti, le tiroiditi, le malattie respiratorie dei bambini, i nati di basso peso, tutti effetti sanitari che in ogni parte del mondo si riscontrano con maggior frequenza intorno alle centrali a carbone. L’uso del carbone è conveniente per le aziende elettriche ma non per le popolazioni che risiedono vicino alle centrali. Penso soprattutto alla centrale Brindisi Nord che è incredibilmente dentro la città. I costi che l’azienda elettrica risparmia sono pagati all’esterno e si chiamano costi esterni. Qualcuno, come l’Università di Harvard a Boston, ha messo in piedi delle formule per calcolarli. In altri termini, anche il cigno, per quanto più bello dell’anatrocollo, fa la cacca!
Gli studi sulla salute della popolazione brindisina sono pochi ma ci sono. La mortalità è più alta che nelle zone vicine. In soldoni, negli ultimi decenni ci sono stati circa 30 morti in più all’anno rispetto a quelli attesi se avessimo rispettato la stessa tendenza delle altre zone della regione. Inoltre proprio qualche settimana fa tre ricercatori, uno dell’Arpa e due di istituti del CNR di Lecce, hanno presentato un interessante studio condotto proprio sui dati di Brindisi che dimostra come certi tipi di ricoveri e di decessi aumentino quando si innalza, all’interno di quei limiti di legge che sono rispettati, la concentrazione di alcuni inquinanti. Quindi anche i cosiddetti limiti di legge non sono poi così sicuri nel breve periodo e la combustione del carbone partecipa a questi innalzamenti.
Non pretendo certo che Enel si metta ad organizzare grandi eventi per raccontare queste cose o che finanzi studi per rilevare anche a Brindisi le malattie che in tutto il mondo, senza infingimenti e senza paure, si rilevano intorno alle centrali a carbone. Questo sarebbe invece compito di Comune, Provincia e Regione e dei loro organi tecnici. Ma neppure loro si muovono.
Per questo stasera sarò vicino a quanti manifesteranno davanti ai cancelli della centrale di Cerano, non contro Enel ma contro la combustione del carbone a Brindisi e l’immobilismo degli enti locali nella ricerca dei suoi effetti sui cittadini di questa città e nella pretesa di differenti combustibili.

sabato 24 luglio 2010

IN ATTESA DI UNA NUOVA SANITA’ IN PUGLIA: PAGARE LA SALUTE E NON LA MALATTIA.

L'attuale scontro politico sui tagli alla sanità pugliese è preoccupante per le ripercussioni sia, in termini generali, sulla salute delle persone, e sia per quanto riguarda l’accesso alle cure. Ma sappiamo bene anche che l’organizzazione sanitaria incide solo per il 10-15% sulla salute di una popolazione.

Soprattutto l'utilizzo dell'argomento come strumento di lotta politica ha sempre distratto l’attenzione dalla sostanza del problema. La riduzione dei posti letto fu, otto anni fa, un tema di lotta politica contro il governo regionale di centro-destra; oggi tagli di proporzioni anche maggiore sono motivo di contestazione al governo di centro-sinistra. Tagli che peraltro seguono un Piano Sanitario pieno di promesse ed ampliamenti dalla dubbia sostenibilità economica. Nel 2002 fummo contrari a quei tagli perché l’ospedale era l’unica risposta di salute. Se oggi molti cittadini si ricoverano impropriamente, non lo fanno solo per non pagare il ticket ma anche perché le liste di attesa sono troppo lunghe ed il ricovero è una scorciatoia per eseguire subito gli esami necessari senza pagarli di tasca propria. In questi anni la medicina del territorio, in particolare la medicina generale e ambulatoriale, ha ricevuto molte più risorse del passato. E’ giunto il tempo che si faccia carico di coloro che non necessitano di ricovero e di quanti vengono dimessi in condizioni subcritiche.

Constatiamo ancora, purtroppo, che le persone che ne hanno bisogno non hanno facile accesso alle cure, i tempi di attesa per ricevere una visita o effettuare un esame sono molto lunghi ed incompatibili con i dettami della medicina moderna; i costi sono talvolta pagati di tasca propria, le attività di prevenzione languono in gravi difficoltà e la medicina del lavoro pubblica è quasi scomparsa. Il pensiero va a città industriali come Brindisi e Taranto oppure a Bari con la paventata chiusura dell’unico reparto di degenza rimasto. Per molte cure di malattie gravi i pugliesi migrano ancora verso strutture sanitarie del Centro-Nord; fuggono dalle carenze, dalla mancata previsione, dalla inefficace organizzazione e dallo scarso coordinamento.

Siamo certi che questi migranti dolenti che, pur di curarsi bene, sono disposti ad affrontare viaggi lunghissimi, di centinaia di chilometri, accetterebbero volentieri di percorrerne solo poche decine in più, dall’inutile ospedale sotto casa, per raggiungerne uno efficiente all’interno della nostra regione. Il problema è constatare che restano in piedi rimasugli di ospedali inutili accanto a grandi ospedali sottoutilizzati e privi di specialità importanti. Non vediamo alcuna programmazione delle attività che mancano e temiamo che anche questa volta la politica non avrà la forza necessaria per contrastare la rivolta delle corporazioni sanitarie (medici, infermieri, burocrazie sanitarie) a loro volta spalleggiate dai politici locali atterriti dalla perdita di consenso e perciò disposte anche ad istigare autolesionistiche isterie dal basso.

In questa situazione già di per sé preoccupante assistiamo allibiti all’elargizione fatta, dal governo regionale, a don Verzè di 120 milioni di euro per l’Ospedale San Raffaele di Taranto; un progetto che in nome dell’”eccellenza”, in realtà, per le partecipazioni “tecniche” ed azionarie, dirette ed indirette, che con ogni probabilità lo connoteranno, minaccia di essere un altro eccellente e poliedrico esempio di conflitto di interessi, stavolta applicato alla sanità. Ossia alla salute pubblica (Si consiglia a tal riguardo la lettura dell’interessante articolo di Angelo Di Leo pubblicato sul Corriere del Giorno di mercoledì 21 luglio). Un’elargizione che si scontra con l’assenza di un vasto piano d’ammodernamento tecnologico delle strutture ospedaliere pubbliche.

A noi, lo ribadiamo, non interessa il tecnicismo dei tagli; a noi interessa la salute dei pugliesi, quella salute che nessuno si occupa di misurare-valutare e che alcuni indicatori indiretti danno in peggioramento.

Il contrasto alle fonti inquinanti è debole e quasi solo di facciata. Si consideri, a tal proposito, il problema delle emissioni nocive del siderurgico e della raffineria di Taranto, del petrolchimico del farmaceutico e del carbone di Brindisi; e ancora gli scarsi controlli delle acque e degli alimenti, le ispezioni nei luoghi di lavoro che ormai si fanno solo su richiesta. Se il contrasto è debole, la prevenzione non è certo in condizioni migliori; manca il registro regionale dei tumori e l’attività epidemiologica, da parte dell’ASL, intorno alle fonti di rischio ambientale e sanitario manca del tutto o quasi.

Non vediamo alcuna forma di contrasto al dilagante consumismo farmaceutico, vaccinale e radiologico che oltre ad essere fonte di spreco, è anche portatore di danno alla salute.

L’informatizzazione delle attività cliniche – cartelle cliniche, visite, esami radiologici – è sporadica ed insufficiente con la conseguente ripetizione di procedure e l’incompleta presa in carico dei malati.

Abbiamo chiesto, inascoltati, che fossero dati segnali precisi che facessero luce sulla commistione tra pubblico e privato anche all’interno delle strutture pubbliche; come per esempio, l’adozione di liste d’attesa uniche, per paganti e non paganti, così come ha fatto la regione Toscana per gli interventi chirurgici; l’abolizione dell’obbligo di prenotazione per alcune prestazioni specialistiche di base ad alta frequenza di richiesta. Il problema dei “tagli” dei posti letto ospedalieri, al quale no siamo pregiudizialmente contrari, non indebolisce la nostra continua richiesta di una sanità diversa da quella finora attuata in Puglia. Il riferimento non è solo agli scandali giudiziari ma, piuttosto, ad una nuova visione che privilegi la tutela della salute alla erogazione di prestazioni.

Ai tempi dell' antico impero cinese i medici venivano retribuiti fino a quando i loro assistiti erano in buona salute e non ricevevano più alcun compenso quando viceversa si ammalavano: forse la proverbiale saggezza cinese aveva colto nel segno e se anche noi ci armassimo della medesima saggezza, la nostra salute sarebbe certamente più tutelata. (Patrizia Gentilini)

Per approfondimenti:

- Gli scandali della sanità pugliese http://salutepubblica.org/uploadtest/Servizio%20Socio-Sanitario/090801%20Scandalo%20sanita.pdf

- Otto proposte per la sanità malata http://salutepubblica.org/uploadtest/Servizio%20Socio-Sanitario/091016Otto_Proposte_per_la_sanita_pugliese.pdf

- Bilanci ASL 2008 http://salutepubblica.org/uploadtest/Servizio%20Socio-Sanitario/Bilanci%20ASL%202008_puglia.pdf



Medicina Democratica

Salute Pubblica

martedì 20 luglio 2010

AVANTI PRESIDENTE!

Questa volta col Presidente Ferrarese mi trovo daccordo. In questi ultimi giorni ha fatto due uscite sulla sanità. Una in cui auspica che si dotino tutti gli ospedali della provincia di Brindisi di TAC e Risonanze magnetiche per ridurre le liste di attesa, l'altra in cui chiede 100 milioni per ammodernare (immagino soprattutto con tecnologie) la sanità locale.

Sebbene siano i Sindaci ad avere per legge il compito di vigilare sulla ASL e concertare le decisioni strategiche, il presidente della Provincia ha fatto bene ad alzare la voce ponendo una questione generale e non di campanile (come fanno invece alcuni Sindaci e Consiglieri).

Si sa, con Ferrarese non sono daccordo su tante cose. Una di queste è la visione della salute collettiva che non è fatta solo di cure ma anche di prevenzione, ma non sprecherei questa occasione di consonanza per dare forza ad una idea.

Poi nel merito o negli aspetti tecnici non saremo daccordo su tutto, ma che la sanità brindisina manchi di molte specialità chiave ed abbia tecnologie da rinnovare, è una verità che dovrebbe vedere tutti concordi nel protestare e nel reclamare.

Purtroppo poi non basta aumentare il numero di TAC per ridurre le liste di attesa. Sia perchè nella sanità pubblica non accade quello che succede nell'azienda privata a cui Ferrarese è abituato. Gli inglesi hanno dimostrato da tempo che se i costi aumentano di una certa entità, la produttività aumenta molto meno. Eppoi i tempi. Per modificare l'organizzazione del lavoro ci vogliono mesi e mesi di concertazione sindacale, per spendere dei finanziamenti per ammodernamenti anche anni.

Ho detto che poi nel merito qualche approfondimento sarebbe necessario. E credo che il Presidente sarà anche daccordo su quanto sto per dire. Alla Mayo Clinic di Rochester, uno dei santuari della Medicina moderna, il 40% degli esami radiologici è inappropriato, cioè richiesto ed effettuato senza un giustificato motivo. Stenteremmo a credere che qui, se si andasse a verificare bene, non troveremmo qualche punto percentuale in più? Bene. Allora se mettessimo in atto un'attività di controllo della appropriatezza che il CNR di Lecce ha proposto anche all'assessorato alla salute della Puglia, con le stesse macchine potremmo ridurre della metà i tempi di attesa. A parte la considerazione ( Ferrarese la condividerà perché insieme a qualche sindacato lamenta che io parli sempre e solo dei cancerogeni occupazionali) per la quale negli USA (chissà perché studiano solo lì) hanno stimato 29.000 cancri nei prossimi decenni per le dosi da radiazioni da TAC effettuate nel 2007! Per questo è importante fare ogni sforzo per richiederle ed eseguirle solo quando servono.

A Brindisi mancano reparti importanti per le patologie diffuse nella popolazione. Mancano la Chirurgia toracica (eppure i tumori al polmone non mancano), manca la Gastroenterologia (eppure non mancano le malattie del fegato), manca la Cardiochirurgia, mancano risonanze magnetiche (è vero che sono poche).. Mancano da quando c'era il centro-destra e da quando c'è il centro-sinistra. Molta tecnologia pesante andrebbe rinnovata ed aggiornata. Se per far questo si chiudesse qualche piccolo ospedale che costa milioni di euro all'anno (leggiamoli i bilanci della ASL!) se ne lagnerebbe solo chi ci lavora e qualche politico locale, non certo i malati che per curarsi fanno anche migliaia di chilometri.

Avanti così Presidente!

Maurizio Portaluri

martedì 13 luglio 2010

IL BRUTTO ANATROCCOLO, IL CIGNO ED IL SUO CANTO





Qualche giorno fa Enel e Confindustria Brindisi hanno esultato per alcune dichiarazioni diffuse dal Dipartimento Ambiente della Unione Regionale delle Province Pugliesi contenute in un verbale di incontro svoltosi a Brindisi il 21 giugno scorso. Non dunque un documento ufficiale dell'Arpa ma il resoconto di un'audizione di dirigenti dell'Agenzia. Nell'incontro tema di discussione erano “le emissioni di anidride carbonica, polveri sottili e del conseguente impatto ambientale della Centrale Federico II”. Nel verbale, che il Presidente dell'UPI, Prof Schittulli, mi ha subito messo gentilmente a disposizione, si legge che “a quanto pare esiste su tutto il territorio Brindisino, in particolar modo nel suo distretto industriale, una capillare rete di centraline per l’esattezza ventotto, la stragrande maggioranza gestite interamente dall’ ARPA solo il 30% gestite da aziende private cinque delle quali dall’ ENEL. Le parole della Dirigente (dell'ARPA, dott.ssa D'agnano) sono sin dall’inizio confortanti e rassicuranti in quanto si apprende che nessuna di queste supera la soglia limite di rilevamento soprattutto nei pressi della Centrale Termoelettrica a carbone ENEL “Federico II”. Il verbale prosegue: “emerge un aspetto inquietante per quanto concerne l’inquinamento del sottosuolo, nello specifico la dott.ssa D’agnano si riferisce alle falde acquifere per il 90% inquinate non certo a causa delle sostanze di lavorazione dell’ ENEL bensì per infiltrazioni di sostanze di scarti di lavorazione delle aziende petrolchimiche e soprattutto farmaceutiche”.
Se questa audizione tranquillizza Enel, perché Confindustria non si preoccupa dell’inquinamento delle falde? È forse meno pericoloso per l’uomo?
Inoltre mi domando in che misura sulla base di queste notizie possiamo stare tutti più tranquilli. Intanto si deve precisare che le centraline misurano solo alcuni degli inquinanti che la combustione del carbone produce. Non misurano mercurio, arsenico, piombo, nichel, diossine, policlorobifenili (pcb), idrocarburi policiclici aromatici (ipa), sostanze radioattive come il polonio. Di tutte queste sostanze sappiamo ancora molto poco a Brindisi, mentre sappiamo molto da studi condotti in altre nazioni anche circa i loro effetti negativi sulle popolazioni residenti nei pressi delle centrali a carbone.
Bisogna studiare e ricercare di più. Mi sono esercitato in un problema di aritmetica ma non so se l’ho svolto bene. È un problema sul mercurio. Su 8 milioni di tonnellate di carbone transitate annualmente nel nostro porto, assumendo che in ogni kg di carbone ci possono essere mediamente 0,3 mg di Mercurio (ma anche di più o di meno, ma questo dovrebbe essere stabilito con apposite analisi), nelle centrali brindisine sono entrate annualmente 2400 tonnellate di mercurio. Nelle autodichiarazioni aziendali si legge che per il 2005, in aria sono stati emessi 50 kg di mercurio e 2,7 Kg in acqua. Cioè appena il 2 per mille del mercurio presente nel carbone. Un vero successo della captazione o una mia grave carenza in matematica?

Noi siamo contenti che l'ARPA controlli oggi più di ieri e siamo fiduciosi che controllerà sempre meglio, perché gli inquinanti da controllare sono ancora tanti, molti di più di quelli di cui si è interessata la commissione ambiente dell'Unione Regionale delle Province il 21 giugno scorso a Brindisi.

mercoledì 30 giugno 2010

SANITA': I TAGLI NON SERVONO SENZA UNA POLITICA SANITARIA ANTICONSUMISTICA


All'inizio del decennio scorso il governo regionale si trovò ad affrontare un importante deficit e mise in atto un blocco totale di acquisti ed assunzioni che durò circa quattro anni. A questo si aggiunse la cura dimagrante dei posti letto negli ospedali e la loro parziale chiusura. A dieci anni di distanza, per fronteggiare un deficit di pari dimensioni ma con un budget sanitario nel frattempo quasi raddoppiato, le misure che probabilmente verranno messe in campo richiamano quelle della prima potatura.
La Puglia "migliore" avrebbe meritato qualcosa di più!
Con ciò non si vuol dire che nulla sia cambiato in questi anni. Alcuni costi sono cresciuti notevolmente come quelli della medicina di base, della riabilitazione e della farmaceutica, si è introdotta nuova tecnologia, nuovi servizi alle disabilità sono ora disponibili. Però la gente continua a migrare per curarsi, l’accesso alle prestazioni è difficile, il cittadino spesso deve pagare da sé esami e cure. Ma oltre questi aspetti funzionali, quale è l’efficacia della nostra sanità? I risultati delle cure sono paragonabile agli standard internazionali? La salute della popolazione è migliorata o peggiorata? Purtroppo il problema della spesa e del suo contenimento rimane sempre in primo piano ed i rimedi sono sempre gli stessi, cioè tagli e ridimensionamenti. Non sono contro i tagli e neppure contro la chiusura di alcuni ospedali.. Ma ciò che soprattutto mi pare manchi oggi, come dieci anni fa, è una politica che contrasti il consumismo sanitario. Una politica che controbilanci la pervasività dell’industria farmaceutica e biomedica e che metta in condizioni il servizio sanitario di confrontarsi con essa in situazione di parità, anche attuando la sospensione temporanea della informazione scientifica industriale negli ambulatori medici. Una politica che renda trasparenti, cioè noti ai cittadini, i rapporti tra industria farmaceutica e servizio sanitario (non solo medici), crei una forte informazione pubblica sui farmaci anche con campagne pubblicitarie, informi i cittadini e gli operatori sanitari sui rischi di cancro che possono derivare ai pazienti da una diagnostica radiologica inappropriata, valuti criticamente le proposte di campagne vaccinali prima che siano dichiarate di dubbia efficacia dagli stessi proponenti. E ancora, privilegi la prevenzione primaria attraverso stretti controlli su acqua ed alimenti. Bandisca l’uso dei pesticidi. Informatizzi le cartelle cliniche per evitare ai cittadini ripetizioni di esami e inutili peregrinazioni. Misuri i risultati delle cure e valuti l’operato dei medici su di essi e non sulla quantità di prestazioni erogate. Un sistema sanitario, in altri termini, che paghi la salute e non la malattia.
Questa rivoluzione culturale in sanità, che un’area minoritaria ma sempre più consapevole, da tempo propone e non solo in questa regione, sarebbe proprio necessaria per migliorare la salute dei cittadini e per evitare che fra dieci anni ci si ritrovi a dover proporre ad una popolazione più malata i tagli ed i ritagli di oggi.

venerdì 25 giugno 2010

IL DIRETTORE GENERALE IMMAGINARIO


Il mio libro su La Sanità Malata (Glocaleditrice 2008) mi ha reso tanto famoso nel mondo sanitario pugliese da rendermi visibile anche dove non sono mai stato. Sia Repubblica che la Gazzetta del Mezzorgiono mi hanno dato presente lunedì 21 giugno scorso all'esame per direttore generale organizzato dalla Giunta Regionale Pugliese del Presidente NIchi Vendola. Nichi Vendola ha il merito, nella società della comunicazione, di aver reso la Puglia interessante per l'opinione pubblica nazionale. Omossessuale dichiarato, cattolico, di sinistra estrema, il nostro Presidente ha rivinto le elezioni 2010 contro un centro destra spaccato in due e dopo una bufera giudiziaria che ha colpito la sua giunta e la sanità, sulla promessa della cui riforma aveva vinto, contro ogni previsione, le elezioni del 2005. Sull'onda di quella vittoria mi ero messo in gioco ed ero stato nominato direttore generale di una ASL. Ma dopo due anni, prima venivo spostato ad altro incarico, poi mi dimettevo. Il perchè è tutto nel mio libro del 2008 (non è più in libreria ma potete richiedermelo). Ma perchè ne riparlo? Perchè le dimissioni ed il libro hanno fatto di me un personaggio mediatico che non c'è più nella realtà ma vive nel mondo dell'informazione.
Qualche mese fa pare che la Regione Puglia abbia riaperto i termini per presentare le domande per direttore generale. Dopo alcune settimane un amico mi ha chiamato al telefono "Sei ancora nell'elenco", mi ha detto, "Hai fatto la domanda!!!". Ed io a spiegargli che non avevo fatto nessuna domanda. Mi è stato persino detto che qualche funzionario regionale ha giurato di avermi visto presentare la domanda. Ora che gli "elencati" aspiranti sono stati convocati alla Fiera del Levante per l'esamino, tutti mi hanno rivisto lì. Ma io ero in ospedale come ogni giorno, nel servizio di radioterapia. Ho mandato qualche email, ho scritto sui siti dei giornali per smentire. Ma niente da fare. Per cui ho deciso che accetterò il nuovo incarico, quello di "direttore generale immaginario". Potenza dei media. Daltronde, se un Presidente "di sinistra" può fare una politica di destra continuando ad essere considerato "di sinistra", perchè io non potrei fare il "direttore generale immaginario" continuando a fare tutt'altro? Magari potrei anche immaginare una sanità che non esiste e far credere che sia vera. Potenza dei media.





mercoledì 23 giugno 2010

QUANDO LA SALUTE NON DIPENDE DAGLI OSPEDALI

Una singolare notizia di salute è circolata in questi giorni tra gli addetti ai lavori. Si è svolto nell’isola di Lipari l’ XI Congresso Siculo-Calabro della Società italiana di Igiene, Medicina preventiva e Sanità pubblica, dove è stato presentato lo studio sull’organizzazione sanitaria nelle isole minori italiane che tra poco saranno prese d’assalto in vista della stagione turistica.

In queste isole si nasce di più, si muore meno ma non si riescono a rispettare i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) soprattutto riguardo interventi urgenti e prevenzione terziaria per malattie croniche come diabete e tumori. Nelle 46 isole minori italiane (divise in 36 comuni di 7 regioni e con solo 8 ospedali) la distribuzione d’età è sovrapponibile a quella nazionale, la natalità è in crescita (9,5 per 1000 contro 9 per 1000 in Italia) mentre la mortalità è più bassa rispetto a quella nazionale (9,2 contro 10,6). L’efficacia degli interventi sanitari, come dimostrano le esperienze dei “cerchi concentrici” delle isole greche e delle Orcadi (in cui un’isola baricentrica nell’ambito di un arcipelago funziona da capofila), dipende dai sistemi di trasporto e dallo sviluppo delle nuove tecnologie come la telemedicina.

Il succo mi sembra questo: anche se non c’è l’assistenza sanitaria disponibile in una grande città, nelle isole italiane si nasce di più e si vive più a lungo. Se c’è una patologia che richiede una cura complessa (tumori, cardiopatie ecc) bisogna spostarsi. È un po’ quello che succede in tutto il Sud d’Italia. Al Sud si vive meglio che al Nord ma se ti ammali sono affari tuoi. Verrebbe istintivo chiedere allora più servizi sanitari, più ospedali, più medicina insomma. È quello che emerge anche dal dibattito nostrano sugli ospedali da chiudere. I politici fanno a gara per spararla grossa, qualcuno fa i calcoli sui posti letto, ma nessuno prende il toro per le corna. Nessuno lancia una campagna di studio sullo stato di salute della popolazione, rispetto alle diverse fonti di rischio. Solo dopo aver fatto ciò si può stabilire cosa serve in termini di prevenzione primaria e terziaria. La prima evita che le malattie insorgano, la seconda cura quelle già insorte. Ma per curare le malattie gravi del nostro tempo servono pochi ospedali, con molto personale e tecnologia complessa e costosa. Potremo averli anche qui senza rinunciare ai molti ospedali di basso livello presenti nella nostra regione? Non credo. I soldi disponibili per gli ospedali, circa la metà del budget per la sanità, vanno spesi meglio: un buon sistema di emergenza e pochi centri di eccellenza. Ma per fare questo bisogna scontrarsi con le corporazioni degli operatori che non vogliono cambiare abitudini e perdere privilegi. Non è vero che i cittadini vogliono l’ospedale sotto casa. I cittadini quando stanno male sono disposti a fare, e non da ora, anche migliaia di chilometri per curarsi.

Partiamo dalla salute e non dagli interessi degli operatori, una volta tanto.

domenica 23 maggio 2010

LA SALUTE DEI BAMBINI ED I PESTICIDI





I pediatri canadesi hanno lanciato un documentato allarme sugli effetti dei pesticidi nei bambini divulgando uno studio condotto da un ente di ricerca americano.
Il Consiglio Nazionale della Ricerca e Accademia di Scienza degli Stati Uniti ha, infatti, ricevuto l’incarico di studiare le implicazioni politiche e scientifiche riguardanti i pesticidi nella dieta di bambini e ragazzi. Ecco le conclusioni a riguardo. “La quantità e la varietà di pesticidi oggi usate è di gran lunga maggiore che in ogni altro periodo della storia.
Esistono differenze qualitative e quantitative nella tossicità dei pesticidi tra adulti e ragazzi. Bambini e ragazzi possono sviluppare effetti tossici per quantità molto piccole per il loro differente metabolismo, il maggiore assorbimento, diete con maggiore concentrazione di alcuni prodotti contenenti elevate quantità di pesticidi e possono riportare effetti di tipo neurologico, comportamentale, endocrinologico ed oncologico che non sono visibili nell’adulto, a causa delle esposizioni in utero e durante alcune fasi dello sviluppo.
La tolleranza costituisce la più importante modalità con cui i livelli massimi ammissibili di pesticidi residui negli alimenti sono determinati. Le concentrazioni tollerate sono basate soprattutto sui risultati di studi condotti dai produttori di pesticidi e sono concepiti rispetto alla più elevata concentrazione residua dopo un uso normale in agricoltura. La tolleranza non è basata principalmente su considerazioni sanitarie. I medici ed i ricercatori devono assicurare che i levelli massimi ammissibili siano basati su considerazioni sanitarie sia per i livelli trovati nelle fonti di alimenti che quelle conseguentemente trovate nell’acqua e nel terreno.
L’attuale sistema regolatorio guarda solo alle esposizioni medie dell’intera popolazione. Di conseguenze variazioni nell’esposizione da dieta a pesticidi ed i rischi per la salute correlati all’età ed ad altri fattori come l’area geografica e la razza non sono considerati. La dieta è un’importante fonte di esposizione ai pesticidi.
I bambini possono contaminarsi attraverso la cute giocando su terreni in cui sono stati impiegati pesticidi. Nei lavoratori dell’agricoltura sono stati rinvenuti livelli di pesticidi nell’organismo molto elevato per un processo di accumulo, ed un rischio di sviluppare sarcomi delle parti molli e linfomi non-hodgkin superiori al resto della popolazione.
Nei cibi possono trovarsi residui di numerosi pesticidi ciascuno dei quali è ritenuto nei livelli ammissibili ma il loro effetto concorrente non è tenuto in considerazione.”
La Commissine conclude invitando le autorità a condurre controlli molto stretti sui residui di pesticidi negli alimenti, nel suolo e nell’acqua. Quest’ultima è di gran lunga più assunta da un bambino rispetto ad un adulto in rapporto al peso corporeo.
I medici sono invitati ad essere molto accorti sugli effetti acuti e cronici dell’applicazione locale a mezzo spray, le applicazioni domestiche e quelle nei cibi. Ad educare i pazienti circa i pericoli per la salute associati ai pesticidi. Ad incoraggiare le alternative ai pesticidi.
Come l’uso di prodotti organici ed il trattamento in modo alternativo dei prati. Incoraggiare le autorità locali a proibire l’esposizione delle persone ai cittadini. A questo riguardo la città di Cootie St. Luc, vicino Montreal (Canada) ha vietato con una legge locale l’uso dei pesticidi.

È poi proprio di qualche giorno fa la pubblicazione sulla prestigiosa rivista medica internazionale Pediatrics di un lavoro condotto da ricercatori della Harvard University di Boston (USA), che hanno intervistato le famiglie di 1139 bamabini, hanno misurato residui di pesticidi organofosforici nelle loro urine ed hanno trovato che a livelli di pesticidi 10 volte superiori in alcuni casi era associato ad un rischio di disturbi dell’attenzione/disordine di iperreattività più frequente del 55%.

Ma come stanno le cose dalle nostre parti? Le relazioni sullo stato di salute della ASL locale, nel 2000 e nel 2006, non riportano, perché mancanti, i dati sui consumi di pesticidi. Nel bilancio di esercizio della ASL di Brindisi del 2009, recentemente pubblicato, il dipartimento di prevenzione denuncia alcune centinaia di controlli sugli alimenti che sono risultati tutti nella norma. Le cronache di qualche anno fa, durante un’estate particolarmente calda, hanno riportato diversi episodi di intossicazione di braccianti durante l’attività di irrorazione con pesticidi.
Alla luce di queste chiare evidenze scientifiche, siamo forse di fronte ad una situazione che merita un serio approfondimento.




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domenica 9 maggio 2010

OCCHIO ALLE VACCINAZIONI

A Busto Arsizio (Varese), un giudice per la prima volta in Italia, ha riconosciuto la possibilità di un nesso causa-effetto tra vaccinazione e autismo. «Mancando la prova di altre cause concomitanti, c’è una ragionevole probabilità che ciò sia avvenuto», ha detto in buona sostanza il tribunale di Busto, condannando il Ministero della Salute a risarcire i genitori di un bambina di Gallarate che aveva sviluppato problemi di autismo proprio in seguito a una vaccinazione obbligatoria (era un’antipolio), secondo quanto prescritto dalla legge 210 del 1992 che risarcisce appunto i danni causati da vaccini. Sentenza clamorosa. Non solo perché i danni da vaccino sono contestati dall’establishment ufficiale, i cui rapporti con le case farmaceutiche sono tutt’altro che limpidi ed esenti da conflitti di interesse, ma soprattutto perché il Tribunale di Busto, nell’emettere la
sentenza, ha contraddetto persino il suo stesso consulente tecnico che aveva espresso parere contrario. «Ci muoviamo su di un vero e proprio campo minato», avverte Saverio Crea, avvocato di Firenze, uno dei legali che ha difeso in giudizio il diritto al risarcimento.
Non è il solo caso riconosciuto da un giudice, ce ne è stato un altro in Lombardia. Esiste un’associazione che si chiama CONDAV (Coordinamento nazionale dei danneggiati da Vaccino), alla quale aderiscono anche molti militari ammalatisi per l’uranio impoverito, ma molto più probabilmente per un cocktail di vaccini,.
I medici che lavorano con questo coordinamento sostengono che non tutti i casi di autismo sono attribuibili ai vaccini ed al mercurio in esso contenuto fino ad un certo periodo come disinfettante. Ma anche a reazioni anomale e prolungate ai vaccini, che persistono per molti anni dopo ed i cui segni sono rivenibili nel sangue dei piccoli pazienti, nei quali compaiono altre malattie.
«In molti casi, non in tutti ma la gran parte, c’entrano i vaccini. A volte gli eccipienti,
a volte gli stessi antigeni virali. Questo lo si vede bene dagli esami del sangue. Vengono genitori che riferiscono di disturbi comparsi ‘dopo la vaccinazione’. Tutte le istituzioni questo lo negano. Ci sono medici che dicono ‘potrebbe essere stato’, ma non lo registrano sulle cartelle. É un dato che viene omesso, sempre. Da questi esami, che servono proprio per valutare la reazione anticorpale a un determinato vaccino, si rilevano reazioni anomale. Risposte eccessive a quel vaccino, anche a distanza di dieci anni dalla vaccinazione». Se uno ha fatto la vaccinazione al morbillo dieci anni prima, la reazione dovrebbe essere bassa o comunque entro certi limiti. Invece i valori sono esagerati, non giustificati. I medici dicono: ‘buon per lui, è ancora protetto…’. E non si pongono il perché. Per noi invece una risposta esagerata e prolungata nel tempo è il due più due: se c’è una reazione, il pensiero è che c’entrino direttamente questi virus o i loro eccipienti». Ma ci sono anche altre malattia infantili in spaventoso aumento «Per esempio il diabete precoce infantile che è una malattia auto-immune. É aumentata anche questa notevolmente e sono state ipotizzate pure qui cause vaccinali, tutte ricollegabili all’introduzione della profilassi contro l’epatite B.
E possono rientrarci encefalopatie, problemi spastici e paralisi. É chiaro che si creano squilibri nel sistema immunitario. Sono violenze a un sistema che non è preparato, pronto, per ingressi di materiale genetico esterno così a sorpresa».
Quando si sottopongono i bambini alle vaccinazioni obbligatorie, si chiede ai genitori di firmare il consenso informato, ma queste possibili gravi conseguenze non sono riporatate perché non sono riconosciute dalla comunità scientifica, per cui, che consenso informato è?
C’è una pressione mediatica troppo forte verso le vaccinazioni. L’abbiamo vista nei mesi scorsi per l’influenza ed anche per l’infezione da HPV, che in Danimarca non è stata adottata in quanto quel governo ha ritenuto troppo poco convincenti le evidenze sulla sua capacità di ridurre le già scarse (almeno nel mondo occidentale) morti per cancro alla cervice. Un tumore che può essere curato se diagnosticato precocemente con il Pap test. Ci sarebbe cioè una sproporzione tra il numero di persone esposte al vaccino ed il presunto numero di vite salvate.




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sabato 1 maggio 2010

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE VENDOLA DA UNA FAMIGLIA VITTIMA DEL PETROLCHIMICO DI BRINDISI

OGGI NON PARLO IO, FACCIO PARLARE UNA VITTIMA DEL PETROLCHIMICO DI BRINDISI


Egregio Presidente della Regione Puglia
On Nichi Vendola,

mi chiamo Rosangela Chirico, sono nata 41 anni fa a Ceglie Messapica, dove abito e cerco di guadagnarmi da vivere facendo l’artista. 13 anni fa mio padre Donato è deceduto per un Cancro al fegato. Aveva lavorato per oltre 20 anni al petrolchimico di Brindisi, dove aveva inalato il Cloruro di Vinile Monomero (CVM). Alla fine degli anni ‘90 la Procura della Repubblica di Brindisi aveva aperto un’inchiesta per le morti e le malattie di decine e decine di lavoratori come mio padre, ma nel 2004 ha deciso l’archiviazione del procedimento per le ipotesi di reato contro le persone. Con i familiari delle vittime, riunite nel movimento “Vittime del Petrolchimico” e con il sostegno di Medicina Democratica, dovemmo fare diversi sit-in in piazza a Brindisi ed anche davanti al Tribunale per ottenere che l’archiviazione, annunciata in TV circa un anno prima, fosse notificata alle parti lese per poter fare opposizione. Ma nonostante le evidenze scientifiche, compreso un pronunciamento della IARC (International Agency for the Research on Cancer) che nel 2007 ha incluso gli epatocarcinomi del fegato tra i tumori provocati dal CVM, il Giudice per le indagini Preliminari ha archiviato le accuse.
In sede civile è in corso un procedimento di risarcimento che riguarda mio padre, è in corso da oltre 10 anni. Di recente, dopo il deposito di una perizia di ufficio e delle controdeduzioni, la causa è stata aggiornata al 2012.
Non pretendo di avere ragione a tutti i costi ma chiedo di avere risposte scientificamente fondate e in tempi ragionevoli. La mia famiglia con le altre confidava nella magistratura, almeno nei suoi poteri di indagine grazie soltanto ai quali oggi si effettuano ricerche epidemiologiche perché le ASL in Puglia non producono studi sugli effetti delle esposizioni nocive né sulle popolazioni né sui lavoratori.
Due anni fa alcune Associazioni (Medicina Democratica e Salute Pubblica) si rivolsero a Lei per ottenere che gli Enti Regionali che hanno i dati (ASL, ARPA, Osservatorio Epidemiologico) rianalizzassero le coorti del Petrolchimico di Manfredonia e Brindisi. La Procura della Repubblica di Venezia lo ha fatto ed ha dimostrato che lì sono morti 80 lavoratori in più rispetto ad i loro compagni impiegati negli uffici.
Un Senatore della Repubblica, il Prof Antonio Gaglione, ha rivolto una interrogazione al Ministro della Salute, il quale ha risposto, evidentemente dopo essersi consultato con l’Istituto Superiore di Sanità, detentore dei dati di quelle coorti di lavoratori, che la ri-analisi non serve perché non si deve dimostrare nient’altro.
Il 30 aprile si apre a Bari il processo di appello per i morti e le malattie al Petrolchimico di Manfredonia (almeno lì un processo si è fatto ed un appello si sta facendo).
Non mi risulta che la richiesta di riesaminare le coorti dei lavoratori abbia trovato accoglienza da parte della Regione. Eppure il Direttore dell’ARPA, professore Assennato, aveva offerto la sua disponibilità dal momento che i dati di Brindisi sono in suo possesso.
Mi sembra di sentire già le voci di quanti considerano queste questioni “acqua passata”. E invece credo che l’entità dei danni non è stata neppure minimamente ricercata per una assurda volontà di occultamento, come se oltre il danno subito ed il tributo di vite umane pagato, si debba stare in silenzio, senza pretesa di risarcimento e pronti ad accogliere altre stragi, quelle future e quelle in corso (quando si studierà la coorte di Taranto?).
Ma questa conoscenza non serve solo a dare dignità alla nostra terra, ma anche a dare una possibilità di successo alle famiglie di chi non c’è più negli estenuanti giudizi contro l’INAIL e le proprietà degli impianti che si dissolvono col tempo in mille passaggi societari.
Egregio Presidente, questa storia, per quanto mi riguarda e credo per quanto riguarda tanta gente, non sarà mai “acqua passata”, non solo perché interessa migliaia di famiglie, ma perché riguarda la dignità di una Regione che si vuole, nonostante tutto, “migliore”.

In attesa di un cortese e pubblico riscontro Le porgo distinti saluti.

ROSANGELA CHIRICO


30 aprile 2010



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mercoledì 28 aprile 2010

CURARSI FUORI DALLA PUGLIA


Non riesco ancora ad immaginare di cosa parlino i Sindaci della nostra provincia quando si incontrano per discutere dei problemi della ASL. Potrei leggere i verbali delle Conferenze dei Sindaci (anzi potrebbero essere pubblicati sulla rete), ma non ne ho il tempo. Ugualmente mi è difficile fare pensando ai consiglieri regionali che si aggirano nei palazzi della sanità, qui come a Bari. Perché guardando un po' di numeri si osserva che su 88 mila ricoveri ospedalieri di nostri residenti nel 2008, 25 mila avvengono in strutture fuori ASL e di questi più di 5mila fuori regione. Se si indagano le motivazioni di questi ultimi, il 13% è per tumori, il 13% per malattie ortopediche, il 12% per malattie del sistema nervoso, l'11% per malattie del cuore, il 6% per malattie dell'apparato digerente il 5% per malattie endocrina. In apparenza si tratta di malattie che potrebbero essere ben curate in Puglia. Ma si vede che così non è. Una conseguenza della scelta di curarsi fuori ASL e fuori Regione è la perdita di risorse finanziarie. Nel 2008 solo per i ricoveri ospedalieri la perdita è stata di 81 milioni, 61 per i ricoveri in altre ASL della Regione, 19 in altre regioni, parzialmente compensata dai 30 milioni dei ricoveri di residenti in altre ASL che sono venuti nei nostri ospedali, per cui alla fine la perdita è stata di 50 milioni, quasi il 10% del budget annuale della ASL di Brindisi. Con 50 milioni si comprano, per avere un'idea, 50 risonanze magnetiche, più di 50 TAC, centinaia di broncoscopie ( a Brindisi ancora non si può eseguire), ecc, ecc. La Regione ha istituito un Osservatorio sulla Mobilità Passiva da dove dovrebbero venire indicazioni per i rimedi a questa emorragia di risorse. In realtà, a mio parere, una cosa intelligente da realizzare è chiedere ad un campione dei diretti interessati come mai, pur avendo a disposizione delle strutture sanitarie che si occupavano delle loro malattie nella propria Regione, hanno preferito rivolgersi a centinaia di chilometri di distanza. Sono sicuro che emergerebbero utili consigli per dei correttivi a bassa costo, come quelli sull'accoglienza e sull'accessibilità delle strutture. Ci sono però, poi, delle indubbie carenze come quelle di equipe multidisciplinari che curino i tumori delle ossa e dei tessuti molli e dell'apparato endocrino. Una carenza che denunciai nel 2007 quando ero direttore generale dell'Oncologico, dicendo che l'ortopedia nostrana si occupava più di protesi e meno di tumori. Poi si è capito anche perché. Eppoi ci sono i ritardi tecnologici. Noi ci riforniamo di tecnologie biomediche con almeno 10 anni di ritardo rispetto al Nord. L'errore sta nel fatto di attendere i finanziamenti ad hoc dal governo per l'ammodernamento tecnologico, che arrivano ogni 7-8 anni, mentre si dovrebbero individuare delle possibili economie nei bilanci delle ASL e destinarle al capitolo delle grandi macchine. Quando ero direttore generale alla ASL BAT con fondi di bilancio acquistai un angiografo digitale, ampliai la fornitura della radioterapia e feci costruire le stanze per terapia radiometabolica per la quale la gente pugliese andava e va ancora a Pisa. Dove tagliare? Una voce poco studiata è quella dei rifiuti. Circa 2 milioni di euro all'anno. Si potrebbe pagare i rifiuti smaltiti non a volume ma a posti letto occupati, come si fa in Emilia Romagna e come mi suggerì un consulente da me nominato quando ero alla ASL BAT, poi dimissionato anche lui dopo di me. Oppure creare dei centri di irraggiamento dei rifiuti speciali ospedalieri in modo da renderli rifiuti urbani, molto meno costosi da smaltire. Da questi e da altri risparmi deriverebbero risorse per nuove tecnologie e crescerebbe la fiducia dei nostri concittadini verso i loro ospedali.

(Nella foto, il pronto soccorso del Nationa Hospital di Abuja - Nigeria)




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domenica 28 febbraio 2010

QUANTO COSTA BRUCIARE CARBONE


La Scuola di Salute Pubblica della prestigiosa Università statunitense di Harvard a Boston ha recentemente pubblicato un interessante articolo sulla quantificazione dei danni correlati alla salute ed all’ambiente negli impianti di produzione elettrica degli USA che bruciano carbone. Lo studio muove dalla constatazione che le centrali a carbone producono danni esterni agli impianti ma che esiste una variabilità ed una incertezza nella loro determinazione legate a diversi fattori. Tra questi la quantità di sostanze inquinanti emesse, la loro distribuzione dovuta alle condizioni atmosferiche e la distribuzione della popolazione rispetto agli impianti medesimi. Per questo i ricercatori di Harvard hanno voluto monetizzare il danno prodotto da 407 centrali a carbone sulla base della mortalità prematura nella popolazione connessa a queste attività ed hanno stimato che il danno prodotto varia da 30.000 $ a 500.000 $ per tonnellata di polveri sottili (PM 2.5), quelle cioè che entrano nell’albero respiratorio e nel circolo sanguigno, da 6000 $ a 50000 $ per tonnellata di SO2 emessa, da 500 $ a 15000 $ per tonnellata di NOx e da 0,02 $ a 1,57 $ per kilowattora di energia generata. Nel modello utilizzato la mortalità della popolazione aumenta del 1.2% per ogni aumento di microgrammo/m3 della media annuale di emissione del PM 2,5 (tipo polvere che qui da noi neppure viene misurato).
Alla luce di questo studio è lecito domandarsi se le istituzioni locali ed i loro tecnici, al tavolo delle trattative con le aziende elettriche per definire i termini delle convenzioni e, a prescindere da queste, quando prendono decisioni sullo sviluppo locale e sui controlli ambientali e sanitari, tengano conto di queste valutazioni. Se applicassimo i numeri del lavoro citato alla realtà locale risulterebbe che per 100.000 tonnellate di NOx emesse ogni anno il danno esterno è quantificabile tra i 50 milioni di dollari a 1,5 miliardi di dollari. Danni che vengono pagati solo dalla collettività la quale continua comunque ad acquistare la stessa energia elettrica per la cui produzione riceve un detrimento. Quanto all’Università locale, le poche volte che l’abbiamo vista nominata sulla questione energetica sono state quelle in cui era necessario indicare l’affiliazione di qualche docente consulente di parte aziendale intervenuto sulla stampa, e purtroppo non sulle riviste scientifiche, per dire “che va tutto bene madama la marchesa”. È lecito allora chiedersi: ma quale Università pubblica vogliamo e continuiamo a finanziare in Italia se persino quella statunitense, sostenuta peraltro in gran parte da fondi privati, fa ricerca su questioni di vitale interesse per la salute pubblica?

martedì 16 febbraio 2010

COME SONO STATI SPESI I SOLDI PER LA SALUTE NEL 2008



La struttura della spesa sanitaria nella Regione Puglia è stata oggetto di un’analisi realizzata attraverso l’esame dei bilanci consuntivi 2008 delle sei ASL pugliesi.
Su circa 6,5 miliardi assegnati dalla Giunta Regionale, il disavanzo è stato di 173 milioni, 40 in più del 2007 e ciò nonostante le ASL abbiano ricevuto circa 300 milioni in più rispetto allo stesso anno.
La quota destinata ad acquisto di beni è stata del 9% quota troppo bassa per finanziare l’innovazione tecnologica, considerando che in questa voce sono inclusi anche i materiali di consumo ed i beni non sanitari. Il costo del personale rappresenta il 26% delle assegnazioni di cui il 21% per quello sanitario ed il 2% per quello amministrativo. I pugliesi nel 2008 hanno tirato fuori dalle loro tasche circa 80 milioni, 37 come ticket per partecipazione alla spesa sanitaria, 40 per libera professione intramoenia, quest’ultima al netto della quota in extramoenia, che non viene registrata nei bilanci asl, della nota evasione fiscale e di quanto acquistato direttamente presso le strutture private. Quindi, solo per la libera professione intramoenia dichiarata i pugliesi pagano circa 10 euro a testa. Le ASL spendono il 58% dei loro bilanci per acquistare servizi sanitari da strutture sanitarie diverse da quelle gestite direttamente, il 43% da strutture sanitarie private. Di quest’ultima quota, circa 3 miliardi di euro, 412 milioni (6.3%) servono per la medicina generale, 872 milioni (13.3) per i farmaci venduti nelle farmacie convenzionate, 210 milioni (3.2%) per la medicina specialistica, 536 milioni (8.2%) per l’ospedalità privata.
Le assegnazioni pro-capite del 2008 risultano differenti nelle diverse ASL. Rispetto alla media regionale: ricevono risorse maggiori le Asl BAT (+87€), Brindisi (+51€), Lecce (+19€), minori le Asl di Foggia (-45€), Bari (-23€), Taranto (-20€).
Mettendo in relazione la spesa per acquisto di servizi sanitari da privati con il costo del personale si osserva un effetto paradossale e cioè il costo del personale dipendente è più elevato laddove è più elevata la spesa per acquisto di servizi sanitari da privati e la correlazione si conferma sia se l’analisi viene condotta per tutto il personale che per il solo personale sanitario ed amministrativo.
Un fenomeno degno di attenzione è rappresentato dal fatto che, a fronte di un incremento delle assegnazioni in tutte le Asl nel 2008 (dal 4.0% di Lecce al 7.8% della BAT) rispetto all’anno precedente, il disavanzo viene ridotto solo nelle ASL di Lecce e Bat mentre aumenta in tutte le altre. Quindi, se si rispettasse la legge, solo i direttori generali di queste due ASL dovrebbero essere confermati nel loro incarico.
È stata inoltre condotta un’analisi sul rapporto tra il valore delle prestazioni prodotte dai quattro ospedali della ASL di Foggia (90 milioni) ed il costo della loro gestione (180 milioni). La produttività delle strutture sanitarie a gestione diretta appare, da questo esempio, molto bassa.
Da questa analisi emerge che il servizio sanitario impiega la metà del bilancio per gestire le proprie strutture sanitarie mentre l’altra metà serve a comprare servizi sanitari da privati. Le Asl si stanno trasformando in stazioni appaltanti anche per i servizi sanitari. La produttività delle strutture a gestione diretta è molto bassa. Questo dimostra che la richiesta di ulteriori finanziamenti per la sanità meridionale non è del tutto fondata finché le risorse impiegate non saranno meglio utilizzate. Vi è una notevole sperequazione tra le risorse assegnate nelle diverse Asl mentre la quota per l’acquisto di nuove tecnologie è troppo bassa per pensare di ridurre il divario rispetto al nord del Paese.L’intera analisi, condotta dall’associazione Salute Pubblica, è disponibile a seguente indirizzo http://salutepubblica.org/uploadtest/Servizio%20Socio-Sanitario/Bilanci%20ASL%202008_puglia.pdf

martedì 19 gennaio 2010

SALUTE E GUERRA: LA SCIENZA A SERVIZIO DELL’UOMO




L’esperienza dell’Istituto di salute pubblica e di comunità dell’Università di Birzeit, in Palestina, rappresenta un esempio di medicina applicata alle reali condizioni di deprivazione della popolazione. Così come il medico finalizza la sua opera al sollievo della sofferenza individuale, la medicina pubblica o sociale e, nel suo ambito, l’epidemiologia dovrebbero essere orientate all’individuazione dei parametri sociali, economici e politici che influenzano le condizioni di vita e (di conseguenza) di salute di una collettività e dei singoli.
E’ noto, infatti, che le condizioni di salute di una popolazione vengono influenzate dal grado di sviluppo dei servizi sanitari solo per il 20 per cento, mentre nella restante parte giocano un ruolo rilevante le condizioni socioeconomiche.
Un esempio illuminante, a questo riguardo, si trova in un recente lavoro di Rita Giacaman (direttrice del citato istituto palestinese) e dei suoi collaboratori apparso sull’European Journal of Public Health, lavoro che tratta dell’impatto sui civili palestinesi dell’invasione dell’esercito israeliano nelle città della West Bank. L’invasione prese il via 29 marzo del 2002 e il seguente coprifuoco fu imposto in 5 città dei territori occupati per 45 giorni consecutivi. I ricercatori palestinesi hanno studiato l’impatto dell’occupazione israeliana sulla qualità della vita sociale, attraverso la somministrazione di questionari che presentavano domande riguardanti danni alle abitazioni, alle finanze familiari e direttamente alla salute. E’ stato anche implementato un sistema di scoring apposito. I danni alle abitazioni sono risultati di vario genere: dalle interruzioni della fornitura di energia elettrica e di acqua, ai colpi di arma da fuoco e alle esplosioni, fino alla distruzione della propria abitazione o di quelle vicine. I danni di tipo finanziario comprendevano la perdita del lavoro, la carenza di cibo e la carenza di liquidità; i danni alla salute riguardavano infine la necessità di trasferire la propria abitazione, l’accesso alle cure mediche ed episodi di stress psicologico. I risultati dei questionari sono poi stati sottoposti ad analisi statistica multivariata.
Le carenze di acqua e di elettricità furono peggiori nella città di Jenin e ciò è in accordo con la severità dell’attacco militare e con i danni riscontrati alle abitazioni civili in quel capoluogo. In quella città, infatti, il 91 per cento degli intervistati riportava esperienze di esplosioni e colpi di arma da fuoco, mentre a Tulkarm l’87 per cento riportava distruzioni delle infrastrutture.
Nella città di Betlemme è stata invece rilevata la maggiore perdita di posti di lavoro (29 per cento degli intervistati), probabilmente in relazione al crollo del turismo religioso.

Altre spiegazioni per la perdita di lavoro fornite dagli intervistati includevano il collasso dell’economia locale, la distruzione degli edifici in cui avevano lavorato, nonchè il continuo e serrato assedio che impediva di raggiungere i luoghi di lavoro. Jenin sembrava avere il peggiore tasso di sofferenza per scarsità di viveri (64 per cento); vengono menzionati i metodi adottati per fronteggiare questa situazione, quali il mangiar meno e il razionamento del cibo, con una crescente preoccupazione per lo stato nutrizionale della popolazione e in particolare dei bambini. Ramallah risultava invece la città più colpita dalla carenza di accesso alle cure mediche. Tali carenze includevano,
in particolare, la gestione di malattie croniche come il diabete, l’ipertensione e le malattie cardiache. Viene anche riportata la carenza di antibiotici per il trattamento delle infezioni. Alcuni intervistati hanno riferito che, per fronteggiare la situazione, ne veniva somministrata una dose quotidiana più bassa per coprire più giorni di terapia.
Sempre a Ramallah viene riportata una percentuale più elevata di risposte che riferiscono l’insorgenza di problemi psicologici come insonnia, paura, episodi di tremore, stanchezza, depressione, disperazione, enuresi e, tra i bambini, episodi di pianto incontrollato.
L’analisi condotta ha messo in evidenza che i danni di tipo sociale ed alla salute erano significativamente più alti tra i soggetti con un livello di istruzione più basso e nei nuclei familiari più numerosi, mentre non si mostravano differenze in base al sesso. I danni di tipo psicologico risultavano significativamente più intensi quando avvenivano distruzioni della proprietà, carenze alimentari o difficoltà di accesso alle cure.
Gli autori concludono che sebbene «le attività di aiuto siano importanti, queste non forniscono una soluzione permanente alla sofferenza dei civili. Una soluzione permanente e giusta alle violazioni dei diritti umani che i civili palestinesi continuano a subire rappresenta l’unico rimedio in grado di produrre una migliore salute e una accettabile qualità di vita». Il lavoro riportato rappresenta l’applicazione di una metodologiascientifica alle condizioni di salute di una popolazione che vive in permanente stato di assedio, come quella palestinese
nei territori occupati.

venerdì 15 gennaio 2010

CELLULARI E CORDLESS NON SONO INNOCUI, SOPRATTUTTO PER I PIU' GIOVANI






La telefonia mobile può definirsi una caratteristica della civiltà contemporanea e la sua penetrazione non ha confini a livello mondiale al punto che essa giunge nelle società in via di sviluppo assai prima di altri più necessari ritrovati della scienza e della tecnologia. Da molti anni i ricercatori stanno indagando se le radiazioni elettromagnetiche che investono l'organismo di quanti adoperano questa tecnologia abbiano effetti sulla salute degli stessi. Queste ricerche hanno portato a stabilire dei limiti per quanto riguarda gli effetti termici o di riscaldamento provocati da tali radiazioni. Ma c'è ancora ampia controversia sugli effetti più temibili cioè quelli a lungo termine rappresentati essenzialmente dai tumori.

Lo scorso anno alcuni ricercatori di istituzioni mediche australiane, austriache e svedesi hanno pubblicato una ricerca che ha rivalutato precedenti studi sull'argomento. In particolare hanno preso in considerazione quegli studi in cui si comparavano soggetti che usavano da più di dieci anni un telefono cellulare e in cui fosse indicato il lato maggiormente impiegato per l'ascolto, con soggetti che non utilizzavano il cellulare.

Ebbene i risultati hanno evidenziato che i soggetti che usano un telefono cellulare per almeno dieci anni o più, hanno un rischio doppio di vedersi diagnosticare un tumore al cervello dallo stesso lato di maggiore uso dell'apparecchio. I dati sono statisticamente significativi per i tumori di tipo gliale (gliomi), che sono anche i più frequenti, e per i neurinomi del nervo acustico, non per i tumori delle meningi (meningiomi).

Lo studio israeliano noto come INTERPHONE ha dimostrato inoltre che i forti utilizzatori di cellulari hanno un rischio maggiore di tumori della parotide dal lato di impiego.

Cellulari e cordless sono quindi apparecchi da utilizzare con molta cautela soprattutto nei più giovani. Il Central Brain Tumor Registry of the United States (CBTRUS) dal 1995 al 2004 ha registrato un incremento del 34% (da 13.4 casi per 100.000 abitanti nel 1994 a 18.2 nel 2004) della incidenza di tumori cerebrali nella popolazione americana non spiegabile con il fenomeno dell'invecchiamento della popolazione. Altre spiegazioni sono state avanzate come una più accurata registrazione con il passare del tempo ed un ritardo nella registrazione stessa. Ma pur avanzando queste cautele per i tumori maligni, lo stesso CBTRUS registra un significativo aumento dei tumori benigni nell'età tra 0 e 19 anni (astrocitomi pilocitici, meningiomi e tumori dell'ipofisi).

sabato 9 gennaio 2010

LA DELICATEZZA DELLE IMMAGINI RADIOLOGICHE


Negli ultimi mesi sono stati pubblicati due importanti lavori scientifici che riguardano gli effetti sulla salute umana delle radiazioni ionizzanti per scopi medici.
Il primo, pubblicato sul New England Journal of Medicine, riguarda il crescente ricorso alle procedure radiologiche negli Stati Uniti. Gli Autori stimano che almeno 4 milioni di Americani di età inferiore ai 65 anni sono esposti a dosi elevate di radiazioni ogni anno per immagini mediche. Il 70%( 665.613) degli individui arruolati nello studio avevano eseguito almeno una procedura diagnostica con impiego di radiazioni ionizzanti. La dose media effettiva accumulata dalle procedure diagnostiche è stata di 2.4 mSv (+/-6mSv) per individuo per anno, equiparabile, per intendersi, a quelle ricevuta da ciascuno di noi dalla radiazione naturale che proviene dalla terra e dal cosmo. Quindi un raddoppio della dose alla quale siamo naturalmente esposti. Nell'editoriale dello stesso numero della rivista, a commento dello studio americano si evidenzia che “manca un alto livello di evidenza del beneficio di tante procedure diagnostiche mentre questa esposizione cumulativa a radiazioni può provocare danni, anche se non è possibile individuare gli effetti avversi nel singolo paziente che è stato esposto”. In altri termini sappiamo che aumentano complessivamente i tumori nelle persone esposte ma non possiamo dire se quel tumore in quell'individuo dipenda sicuramente dalla sua esposizione alle radiazioni. Quindi, usare le radiazioni mediche solo quando si è certi che sono utili per una diagnosi o per modificare una terapia e non quando non si sa che pesci prendere.
L'altro studio, pubblicato dall'American Journal of Radiology , è stato invece condotto da ricercatori della IAEA (International Atomic Energy Agency) ed ha riguardato 55 ospedali in 20 paesi, di cui 19 in via di sviluppo. Negli ultimi 3 anni nel 30% dei paesi studiati il carico di lavoro di procedure radiologiche interventistiche (cardiologiche e neurologiche) è aumentato del 100%. L'aumento è molto significativo anche per le procedure che riguardano i bambini. Come è noto, i bambini sono molto più sensibili agli effetti delle radiazioni degli adulti. La radioprotezione del personale risulta buona ma quella del paziente non altrettanto, con dosi che superano gli standard raccomandati. La dose che riceve un paziente per una procedura interventistica è superiore a quella degli esami radiologici tradizionali ed è comparabile a quella di un esame TAC con le moderne apparecchiature.
Negli USA si registra una notevole attenzione da parte dei governanti per questo problema. Fare l'esame giusto quando è necessario evitando esposizioni inutili che possono poi provocare gravi danni alla salute è diventato un obiettivo sociale di grande rilievo. L'associazione dei pediatri americani ha lanciato una campagna (www.imagegently.com) che si propone di “modificare la pratica medica aumentando la consapevolezza che si possono ridurre le dosi di radiazioni quando si acquisiscono immagini mediche nei bambini”. I governi richiedono alle case produttrici di macchine radiogene di ridurre le dosi al paziente e sono orientati a limitare il numero di esami radiologici annui erogabili dalle strutture sanitarie. La dose di radiazioni alla popolazione per scopi medici è aumentata di sei volte dagli anni '80 ad oggi. Ed in Italia?

Maurizio Portaluri.