lunedì 26 dicembre 2011

PESSIMISMO NELLA SANITA' PUGLIESE

Ho ricevuto questa lettera da un medico della sanità pubblica alle soglie della pensione.

"Voglio innanzitutto ringraziarti ancora per avermi fatto recapitare in ospedale il tuo libro (La Sanità Malata, Viaggio nella Puglia di Vendola, 2008 Glocaleditrice ndr), che ho letto subito con interesse. Ero ricoverato dal giorno prima per una frattura.
Condivido molto di ciò che scrivi, quasi tutto. Non il tuo velato ottimismo sulle possibilità di recupero della nostra sanità. Sono convinto, infatti, che ci sia un peccato originale che non prevede ammenda. La Bindi ha fatto una riforma (che sostanzialmente riproponeva quella di De Lorenzo, mala scopiazzatura del sistema sanitario americano) che, con la "privatizzazione" della gestione  sanitaria pubblica, pretendeva di ottimizzare le risorse e rendere più efficiente il sitema, ventilando incentivi e disincentivi, responsabilità e valorizzazione delle competenze:il che non ha mai funzionato. Nè poteva essere altrimenti.
In un sistema privato vero, infatti, c'è chi mette un capitale e un rischiodi perderlo. A tutela dell'uno e dell'altro, sceglie i suoi collaboratori per le capacità che hanno. Ognuno si assume le responsabilità che gli competono. Chi sbaglia paga e chi non è capace se ne va.
La nostra riforma sanitaria spartitocratica è, invece, un vero e proprio sistema feudale nel quale il politico (Presidente-Assessore) nomina a propria assoluta discrezione i Direttori Generali, che nominano (sempre a propria discrezione) gli altri dirigenti generali, e così proseguendo fino alla base della piramide. Esisterebbe, in teoria, solo una responsabilità politica (da ridere in un Paese di irresponsabili corrotti che quando si è sull'orlo dell'abisso delegano l'emergenza a tecnici). Chi sbaglia non paga. Paga tutto il cittadino, tre volte: la mancata risposta ai propri bisogni, il dover risolverli emigrando o rivolgendosi al privato, e infine dovendo ripianare il deficit che questa fabbrica di inefficienza ha creato.
Si è selezionata di conseguenza, purtroppo non solo nella sanità, una classe una classe dirigente di yes-men, servi sciocchi, che più sono tali più vengono premiati. Questo rende impossibile un futuro miglioramento della nostra sanità pubblica. Sono quindi molto pessimista per il prossimo futuro .
Per essa ho lavorato tutta la mia vita e oggi mi trovo nella paradossale situazione di dovermene andare. Se non avessi fatto domanda di pensione (di cui effettivamente usufruirò fra 1 anno) mi avrebbero punito decurtandola invece di incrementarla, magari con 50 anni di contributi. Ma la cosa più importante è che la mia sala parto e la sala travaglio sono camere di degenza adatatte impropriamente all'uso; da 8 anni ci sono lavori in corso nell'ospedale, e della ristrutturazione del mio reparto non si profila nemmeno l'inizio, mi mancano medici, infermieri ecc.ecc..
Ma mi rincuora che nel nostro mestiere se uno è Medico veramente, in qualche modo trova la possibilità di lavorare bene e utilmente. Io dovrò continuare a lavorare nelle condizioni che mi sono date per un altro anno, poi si vedrà!"

giovedì 17 novembre 2011

ESCLUSIVA INTERVISTA ALL'ASSESSORE ALLA SANITA'


Siamo andati a trovare l'Assessore alla Sanità di Partenia. Pensavamo di aver capito che ci avrebbe ricevuto in assessorato. Arrivati negli uffici abbiamo, invece, trovato dappertutto gruppi di lavoro composti da infermieri , tecnici, medici e qualche amministrativo. “L'Assessore non c'è, è nella sua azienda agricola, viene un giorno la settimana per adottare gli atti preparati dalle varie commissioni”.
Un po' sorpresi abbiamo raggiunto l'Assessore nella sua proprietà fuori città, una masseria del '700. Un dipendente ci ha accompagnato nel capannone dove si fa il vino. Tra poco infatti arriva sulle tavole il vino novello.
“Benvenuti, un bicchiere di vino novello?”
“Perchè no!” e giù un negroamaro-malvasia in un bicchiere di terracotta.
“Allora, cosa volete sapere da questo povero Assessore?”
“Povero? Non sembra povero!”
“Intendo povero perchè ogni giorno gli piovono addosso critiche come se tutto ciò che va storto dipendesse da lui”
“Guardi, non siamo venuti per angustiarla. In fondo sono anni che ogni giorno possiamo leggere le sue dichiarazioni e le sue interviste. Ormai la consigliatura è alla fine e ci piacerebbe sapere se c'è una sola realizzazione del suo mandato di cui si sente di parlare con soddisfazione”
L'Assessore ci pensa un po', manda giù un altro sorso di novello e si aggiusta il cappello di vimini.
“Le dico la verità, non sono riuscito a migliorare la simpatia dei concittadini per la nostra medicina. E lo sa perchè?”
“Perchè?”
“Perchè non siamo capaci di appassionare ai malati i nostri medici?”
“Ma non c'è proprio nulla di cui sia contento?”
“Sì, una realizzazione di cui sono orgoglioso c'è. Una sperimentazione. Visto che c'erano tanti lacci e lacciuoli soprattutto nei contratti di lavoro, ho proposto un esperimento”
“Quale?”
“Nel paese di Filopato ci sono tre edifici, molto vicini tra loro: un ospedale, un poliambulatorio ed un hospice”
“Perchè ne è orgoglioso?”
“Abbiamo chiesto ai medici che volevano lavorare in questo esperimento di rinunciare alla libera professione di qualsiasi tipo. In cambio assicuriamo periodi di formazione in centri di riferimento e l'acquisto di tecnologia di provata efficacia. “
“E quanti medici hanno risposto alla chiamata?”
“Molti, soprattutto giovani. Inoltre il governo delle tre strutture è stato affidata ad un consiglio elettivo formato da sanitari che dura in carica tre anni e viene supportato da giuristi, economisti, sociologi, psicologi, informatici, statistici, ingegneri, ma solo supportato.”
“Che vuol dire “solo”?”
“Che a decidere sono i sanitari. Per ogni decisione particolare, come l'acquisto di una nuova apparecchiatura ad esempio, si costituisce una commissione che valuta tutti i 'pro' ed i 'contro' ed alla fine decide, soprattutto in base alla provata efficacia e non alla moda.”
“Un'altra condizione che abbiamo posto per partecipare all'esperimento è che né i sanitari né la struttura accettino sponsorizzazioni da industrie farmaceutiche e biomediche. Libri e convegni li paga il consiglio dei sanitari. E si è visto che conviene. Inoltre l'informazione scientifica industriale non è ammessa se non in contraddittorio con i farmacisti della struttura”
“E negli altri due edifici?”
“In uno ci sono i poliambulatori per i medici di medicina generale e gli specialisti, il dipartimento di prevenzione. Tutti i medici sono dipendenti. Gli specialisti sono gli stessi dell'ospedale. Una regola fondamentale è la multidisciplinarietà”
“Cosa significa in concreto?”
“Ogni medico non chiede un esame o un consulto di un altro medico che poi il paziente andrà a ricercarsi. Il primo medico che incontra il malato si fa carico di discutere il caso con gli altri specialisti e questi di eseguire personalmente ulteriori esami. Non esiste la possibilità per il paziente di prenotare da sé un esame ed abbiamo abolito il centro di prenotazione e le ricette. Ogni cittadino di Filopato ha una tessera personale che permette al medico di consultare tutti gli esami ed i ricoveri. Ogni medico scrive sul suo tablet i referti che vengono archiviati elettronicamente nella cartella personale contenuta in un grande server generale. “
“E nel terzo edificio?”
“L'Hospice”
“Per i malati oncologici?”
“Non solo, per tutti i malati che non guariranno affetti da qualsiasi malattia. Le equipe sanitaria gestisce anche i pazienti a casa e li accompagna nel poliambulatorio o nell'ospedale a seconda delle esigenze di accesso. Anche qui il malato non deve preoccuparsi di prenotare e contattare altri specialisti”
“Cosa si aspetta da questa esperimento?”
“Un maggior gradimento da parte del cittadino ed un corpo sanitario soddisfatto e dedicato”
“Pensa che l'esperimento riuscirà?”
“Abbiamo già segnali positivi. Non si fanno esami inutili, non ci sono liste di attesa perchè se l'esame è necessario si esegue subito. I cittadini di Filopato non vanno più a curarsi fuori. Quello che si recupera dalla migrazione sanitaria si reinveste nell'ospedale. I sanitari sono contenti e soprattutto gli ammalati”
Viene verso di noi una ragazza con un vassoio pieno di friselline condite con olio, pomodoro e origano ed una coppa di castagne arrostite. Una buona base per un altro po' di novello.
“Ma Assessore, perchè hanno scelto un agricoltore per la sanità?”
“Perchè l'Assessore non si occupa di soluzioni tecniche, né di primariati né di tecnologie, sono scelte dei sanitari. E poi perchè se fosse un sanitario, potrebbe imporre una sua visione o fare gli interessi di una parte della sua categoria. Il governo di Partenia dà indicazioni politiche: vogliamo un sistema dedicato, accessibile, aggiornato in base alle evidenze, informatizzato. Poi il resto lo fanno gli operatori”
Ci salutiamo, salutiamo tutti gli operai presenti nel capannone. L'Assessore ci accompagna all'uscita.
“Un'ultima domanda, mi scusi, ma il governo di Partenia è un governo di destra o di sinistra?”
L'Assessore ci pensa un po', sistema il cappello sulla testa: “Destra, sinistra? - un po' smarrito – E' un governo “intelligente”“
Una stretta di mano e la masseria è alle nostre spalle. Lo sterrato alza la polvere dietro la nosta auto. La masseria non si vede più.
Sento toccarmi un braccio. É il mio cameramen: “Sveglia, Carlo, siamo arrivati a Bari”.

giovedì 3 novembre 2011

“Le necessità del malato vengono prima di tutto”



La sanità pugliese vive in questi tempi una delle stagioni forse più oscure della sua storia recente. Sarebbe facile utilizzare questa condizione pregonica per attribuire colpe alle parti politiche, professionali e sindacali coinvolte. Si tratterebbe di un esercizio utile se fosse finalizzato a proporre soluzioni radicali, ma se deve ridursi a schermaglie sul teatrino della politica, è già così ampiamente e inutilmente praticato da non costituire una novità.

Disgustato dalle cronache giudiziarie e politiche di questi mesi ho trovato grande sollievo in una lettura occasionale rinvenuta nel mettere in ordine la mia biblioteca. La lettura era tratta da un libretto, anch'esso occasionalmente acquistato più di dieci anni fa nell’edicola di una stazione ferroviaria, una raccolta di articoli giornalistici su storie di medici americani. Tutte molto interessanti. Ma ve ne è stata una che mi ha colpito particolarmente. Raccontava l’attività di una dottoressa alle prese con un suo paziente all’interno di una delle più importanti istituzioni mediche di quel paese e forse del mondo, la Mayo Clinic. Una catena di ospedali ed altre strutture sanitarie in cui ogni americano, alla bisogna, desidererebbe essere curato. Una particolare organizzazione a cui anche le assicurazioni americane preferirebbero, se fosse mai possibile, rimborsare le cure di tutti i loro assistiti in ragione del fatto che, ancorché lì siano disponibili le più avanzate e le più costose tecnologie biomediche, le cure costano al consumatore circa la metà dei rimborsi per analoghe malattie in altri ospedali privati. Saranno presi da stupore i liberisti di ogni latitudine nell’apprendere che si stia parlando di una struttura privata il cui prodotto finale ha un prezzo più basso di quello di mercato.

Ma quel che mi ha colpito di più sono tre regole su cui si fonda il funzionamento dell’ospedale. La prima è il contratto di lavoro dipendente puro dei suoi medici. Stipendio competitivo, formazione garantita, standard di lavoro top level, senza libera professione, senza incentivi sul numero di prestazioni. Ciò vuol dire un corpo sanitario dedicato e leale. La seconda è la multidisciplinarietà. Il medico non manda ma accompagna il suo paziente dall’altro specialista di cui abbisogna. Questo è il segreto del minor costo delle prestazioni: quando i medici si parlano non si prescrivono esami inutili, costosi e a volte dannosi. La terza è il governo dei sanitari. Le strutture sono governate da gruppi permanenti di sanitari e non da amministrativi i quali sono invece di prezioso supporto alle decisioni dei sanitari.

Infine il motto che campeggia nella pagina della mission dell’organizzazione “Le necessità del paziente vengono prima di tutto”. Basterebbe vivere questo motto e rendere operative le tre regole della Mayo Clinic per uscire dal pantano. Se non in tutta la regione, almeno in qualche modello. Il troppo tempo perso inutilmente non fa però ben sperare. Forse un’alleanza tra operatori e malati che credono possibile un simile modello anche in Italia ed in Puglia potrebbe scuotere dal basso l’elefante malato. La chiamerei “Amici degli ammalati”. Non più siti ASL pieni di informazioni burocratiche che interessano solo operatori e fornitori ma informazioni per problemi da risolvere. Non più tribunali o sindacati del malato ma “Amici”.

sabato 22 ottobre 2011

BOBO APRILE E QUELLI CHE NON SE LA BEVONO PIU'

Bobo Aprile e diciassette disoccupati sono stati arrestati cautelativamente per reati compiuti durante alcune proteste per la mancata assunzione di manodopera locale da parte dell’azienda che gestisce la raccolta dei rifiuti a Brindisi, la quale si apprestava ad assumere personale della provincia limitrofa di Lecce. Dopo una settimana lo stesso magistrato che aveva ratificato gli arresti domiciliari chiesti dalla Procura della Repubblica su denuncia della Digos, e non il Tribunale del Riesame, ha rimesso in libertà i diciotto.

In questa settimana sono state decine e decine le prese di posizione di associazioni, sindacati e persino del prudentissimo Arcivescovo che si dicevano sorprese dal fatto che una protesta sindacale potesse essersi tramutata in atti criminosi. Una parte della società brindisina ha in sostanza detto che Bobo ed i suoi compagni non erano avvertiti come un pericolo. E questo sicuramente ha avuto il suo bel peso morale sulla successiva scarcerazione.

In una città martoriata dalla disoccupazione e dalla emigrazione lavorativa, giovanile ed anche sanitaria, colpire con l’arresto disoccupati che chiedono lavoro non è stato tollerato da una parte non piccola della stessa.

Certo, molti benpensanti avranno gioito. Il tintinnio di manette fa piacere a quanti non vogliono fastidi. “Cosa vogliono questi disoccupati, protestano anche? Si arrangino, si adeguino al lavoro nero, non alzino la testa, gentaglia!”

Francamente mi sarei aspettato qualcosa di più dai sindacati, per la verità tutti intervenuti ad esprimere preoccupazione per la scontata interpretazione repressiva nei riguardi della protesta sociale, sempre più frequente, spontanea e disperata in questi ultimi tempi in cui il capitalismo non riesce a garantire le promesse di falso benessere per tutti, garantite per anni attraverso la spesa sociale. Mi sarei aspettato un’ora di sciopero in tutti i settori. Ma forse è troppa speranza o troppo poca repressione ancora. Vedremo fino a che punto si arriverà.

Certo i disoccupati ci sono sempre stati e sono serviti a certa politica per costruire la sua fortuna attraverso il clientelismo e l’asservimento. Questa è la maggiore colpa di Bobo, quella di far prendere coscienza che il lavoro è un diritto che non si scambia con la dignità. Far prendere coscienza è un’operazione pericolosa che viene fatta pagare duramente dai poteri forti. E Bobo a Brindisi ha fatto sempre questo: far prendere coscienza dei loro diritti a quelli che sono considerati “gentaglia”. Sempre dalla stessa parte, con visione lucida delle forze in campo. Chi da una parte approfitta della collettività per arricchirsi e chi dall’altra si accontenta delle briciole, finché ci sono state. Ma la partita sta diventando difficile ed i poteri forti che controllano la città nei centri di comando avvertano che la gente comune comincia a capire e a prendere coscienza che la torta va divisa equamente. Dal lavoro, all’ambiente, all’energia, alla salute non bastano più le kermesse degli scienziati a servizio dei potenti. Molti guadano la medicina, l’economia, la politica e la religione trasformate in spettacolo, applaudono anche ma restano perplessi, vedono i profitti ed i privilegi degli attori e dei loro amici e non credono più tanto alle loro parole ricercate che cercano di mantenere tutti buoni e zitti.


foto: studenti all'Università di Birzeit (Palestina)

venerdì 5 agosto 2011

SAN RAFFAELE, ORA PRO NOBIS


Vendola è politico troppo esperto e conoscitore dell’animo umano troppo profondo per non aver ponderato tutti gli effetti collaterali della sua battaglia per l’ospedale privato-pubblico a Taranto. Quel che sarà il San Raffaele del Mediterraneo nel 2016 ed oltre, dio solo lo sa. Quel che più conta, a mio parere, soprattutto è la simbologia che il dibattito sta generando.
Vendola sa bene che i pugliesi non si fidano di buona parte del servizio sanitario locale, così come non si fidano dell’università, dei politici, delle istituzioni e delle agenzie locali. Egli stesso credo viva come un tradimento ed un fallimento le vicende giudiziarie e la permanente arretratezza della sanità pugliese sotto il suo governatorato tanto da definirla “bubbone” e “casinò” in una deposizione del 2009. Il cavallo di Troia per la presa del palazzo nel 2005, la sanità appunto, si è trasformata in minaccia del mito e del consenso. Ecco allora il simbolo della buona sanità, una meta dei pellegrinaggi della speranza che si trasferisce, come su un tappeto volante, addirittura a Taranto, la città più inquinata e malata. Niente da dire, un colpo da maestro.
Ma appresso al primo simbolo se ne generano altri. L’abbraccio benedicente con il Vaticano, neopadrone del San Raffaele, il cui viatico serve, come quello degli USA e dei filoisraeliani, per governare in Italia. E la chiesa è un problema di non poco conto per la missione nazionale di Vendola. Egli è consapevole che non vedremo cambiare nel corso delle nostre vite, la parte più violenta ed emarginante delle attuali leggi morali della religione cattolica, ma sa bene che sarà sicuramente apprezzata la sua buona disposizione verso quelle “opere di carità” che sono gli ospedali cattolici.
L’incubatore mediatico genera anche il simbolo della fine della baresità. La “prima” università medica d’Italia (e a che posto è scesa quella “barensis”?) sbarca in Puglia e non a Bari. È l’inizio di una Puglia bicentrica? Sicuramente Vendola ha ponderato la reazione, silenziosa e long acting, dei dinosauri dell’accademia. Ha ancora viva la caduta di Fitto per l’oltraggio agli interessi di certa classe medica. E la concretezza di questo simbolo, chiamiamolo, della baresità ferita, è tanto palpabile che il Sindaco di Bari è scattato come una molla e con lui buona parte del PD barese. Questa infatti non dovrebbe scandalizzarsi per il fatto che si danno soldi pubblici ad un privato perché li gestisca. È stato già fatto in Puglia e con il suo consenso, non può essere questa, allora, la ragione della veemente reazione.
Ma c’è ancora un altro simbolo che si genera, anzi si rinforza. Il mantra continuamente ripetuto, in opere ed omissioni, che la sanità pubblica sia ormai irrecuperabile. Tanti soldi pubblici che non producono quanto potrebbero. Un pachiderma alimentato con denaro collettivo che non si piega al suo compito pubblico. Gli alfieri, buffi e retrogradi, di questo compito, fedeli alla missione pubblica del servizio sanitario, si aggirano illusi in strutture dove molti pensano solo all’interesse privato. Come i soldati giapponesi che dopo la fine della seconda guerra mondiale si rifugiarono per decenni nelle isole deserte in attesa degli americani.
L’arcangelo Raffaele, il dolce accompagnatore di Tobia e guaritore della sua cecità, si sentirà invocato in questi giorni, ma, dopo una breve visita in volata, capirà che il suo ospedale nascerà accanto alle macerie degli altri e non so se è proprio quello che desidera sebbene i porporati, che si considerano suoi amici, se la ridano contenti.
Le sento già le critiche dei miei amici per questa lettura disillusa, senza passione e quasi esangue. Le capisco, mi dispiace. Ma il nostro sangue non è più qui, è con i nostri figli e con tutti i giovani che hanno deciso di non stare più tra le macerie.
San Raffaele, ora pro nobis.

venerdì 1 luglio 2011

LA COMUNICAZIONE PROFONDA COME IL MODO DI ESSERE DELLA SANITA'


Quando mi è giunto tra le mani il libro di Francesco Calamo Specchia (Comunicazione profonda in Sanità. Senso, verità, desiderio, Maggioli Ed 2011, pp 323, €29,00) ho pensato si trattasse di un altro libro sulle tecniche di comunicazione applicate al mondo sanitario. Presto ho dovuto ricredermi perchè si tratta di un libro “altro” rispetto alla diffusissima manualistica sul tema. Non spiega infatti come fare comunicazione ma come essere comunicativi e, in definitiva, come essere e basta, come vivere la missione di professionista in soccorso del malato.

Calamo Specchia è professore associato di Igiene all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma dove insegna Organizzazione e Programmazione dei Servizi Sanitari. Ostunese di nascita, trascorre nella nostra terra molto del tempo in cui non è impegnato in università o nelle attività di formazione in giro per l'Italia, approfondendo il suo ormai ventennale argomento di studio, la comunicazione in sanità.

Un libro opportuno e tempestivo nella Puglia (l'Italia) dalla sanità malata, criticata, insoddisfacente alla quale continuano a proporsi risposte provvidenziali e tecnocratiche. Perchè la comunicazione è l'essenza stessa di una organizzazione a servizio della salute e quindi “non si definisce ma si fa”. “Non la capacità di maneggiare strumenti (come qualche chierico cerca di far credere, ndr) ma saper rispondere ad una domanda di senso”.

Tutti i soggetti dell'organizzazione operano comunicando e comunicano perchè (se) operano, altrimenti non fanno il loro lavoro finalizzato alla salute, fanno altro anche se credono di comunicare. Forse a volte faranno propaganda o slogans. La comunicazione si fa in due, non da un io a un tu, ma da “un membro del noi ad un altro”. Ma le nostre ASL si preoccupano di fare sentire un “noi” quello che chiamiamo utente? Quanto si adoperano i custodi del servizio sanitario per fornire una immagine gradevole, amichevole, disponibile verso i cittadini? Solo in una relazione di reciproco riconoscimento, di simpatia, di attrazione si situa la comunicazione profonda a cui è dedicato il libro. “La ASL non deve modificare secondo i propri obiettivi l'atteggiamento degli acquirenti utilizzando seduzioni percettive ma deve utilizzare seduzioni percettive per favorire l'apertura di una relazione comunicativa profonda”.

Calamo Specchia mette in guardia dai pericoli provenienti da “Aziendalia” e dal Globish dei tecnocrati esperti di efficienza, esalta il tempo (molto) necessario per una relazione profonda, richiama il ruolo di tutti nella comunicazione vera, dal Capo all'Operatore Socio-Sanitario, anche (soprattutto) di quello impegnato a sostenere lo stipite del bagno che alla richiesta di un bicchier d'acqua da parte di un malato barellato (il nostro autore in un pronto soccorso) risponde “non sono di questo reparto”.

Se è tutta l'organizzazione che deve saper comunicare in maniera profonda e non qualche suo operatore, alcuni ruoli che in questi anni sono stati invocati quando assenti ed esaltati quando presenti quali modelli di comunicazione, ricevono da questa analisi un duro e consequenziale colpo: il Tribunale per i diritti del Malato e gli URP.

Al di là di suoi intenti e delle sue attività, “tribunale” - le parole sono pietre!- è un termine che richiama inevitabilmente alla mente un contesto di grave conflittualità... presuppone “in sè” necessariamente che i diritti siano abitualmente e dolosamente conculcati; e più che alla partecipazione dei cittadini ad un intervento pubblico, fa pensare alla lotta delle associazioni dei consumatori contro le aziende private truffaldine...”

L'esistenza di un apposito ufficio per la relazione fa intendere che relazione possa essere comunque una questione riservata a specialisti “mentre servono strutture attive come metaforici laboratori di scrittura comune con pazienti, parenti, utenti di “manuali di montaggio” dei servizi, più che non come distributori di istruzioni per l’uso preconfezionate”.

Una forte strategia di promozione non strumentale che in un servizio pubblico non può che essere fondata su un rilancio appunto dell’essere pubblico del servizio; come quella centralità delle esigenze del cittadino (e non dei servizi) nell’accoglienza diffusa che gli viene riservata nei servizi stessi, e quella necessità di un riferimento costante ai pareri e agli orientamenti degli utenti e della popolazione generale nella programmazione e valutazione degli interventi, che devono essere garantite dall’azione dei dirigenti sanitari.”

Insomma un libro impegnativo, non divulgativo, che parla al cuore ed alla mente di quanti credono ancora che valga la pena battersi per difendere la funzione pubblica del servizio sanitario dalla deriva mercantile e corporativistica che lo minaccia.





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lunedì 20 giugno 2011

Dieci anni di sanità in Puglia


19 maggio 2011 Brindisi

di Emilio Gianicolo

È arduo il compito di mostrare in poche righe punti di forza e punti di debolezza di un sistema sanitario in confronto ai sistemi sanitari di altre regioni.

Il compito è difficile per almeno due motivi:

  1. un sistema sanitario è composto di persone, da strumentazioni, da edifici, da ospedali, da relazioni tra persone, da relazioni tra operatori sanitari e tra gli operatori e i pazienti.

È un sistema composto di interessi generali e di interessi di parte e di tanto altro ancora.

È un sistema estremamente complesso e, in quanto tale, complesso il compito di trovare una chiave di lettura, indicatori che diano l’idea di come evolve o involve, di come progredisce o di come regredisce.

  1. Ma il compito è difficile anche per un altro motivo. È più interessante per l’amministratore, per il politico, per i tecnici, per noi cittadini, sapere come è cambiata (se è cambiata) la sanità pugliese o capire se e come è cambiato lo stato di salute di noi pugliesi?

La domanda dunque è: guardare alla sanità, o guardare alla salute?

Certamente la salute dipende anche dalla qualità dell’assistenza sanitaria, ma questo non è che un aspetto, secondo alcuni nemmeno il principale, che influenza la nostra salute.

Si pensi ad altri aspetti quali il disagio economico e sociale. Quanto, per esempio, lo stato di salute di una persona è influenzato dalla condizione di disoccupazione?

Sappiamo (fonte ISTAT) che il 5,1% delle famiglie Italiane (quasi un milione e 300 mila famiglie), ha almeno un componente che, pur avendo necessità di prestazioni specialistiche vi rinuncia per motivi economici e che tale percentuale sale al 9,3% per le prestazioni odontoiatriche; sono infatti oltre 2milioni e 200mila le famiglie che non possono permettersi una visita dal dentista.

E quanto la salubrità dell’ambiente di vita e di lavoro influenza la nostra salute?

E quanto una corretta o non corretta gestione del ciclo dei rifiuti ha effetto sul stato di salute?

Ed allora una politica della salute è la sintesi di diverse politiche:

  • Certamente di una politica sanitaria, dell’assistenza sanitaria;

  • ma anche di una politica ambientale orientata alla salute;

  • di una politica del lavoro orientata alla salute;

  • di una politica dei rifiuti orientata alla salute.

Il piano di rientro

Il piano nasce dalla necessità che la Regione ha avuto di riorganizzare i servizi sanitari per ridurre i costi. Tutto ciò a causa dello “sforamento” del patto di stabilità.

Che cos’è il patto di stabilità?

È un patto tra i paesi dell’aerea dell’euro di contenere le spese della pubblica amministrazione al di sotto di certi parametri. Ovviamente, a cascata, tutti gli enti locali (regioni, province comuni ecc.) devono adeguarsi a questo patto.

Dal piano emergono almeno due criticità:

  1. la prima riguarda le persone che vanno fuori regione per curarsi, la cosiddetta mobilità passiva;

  2. la secondo riguarda una spesa farmaceutica territoriale che è fuori controllo;

La mobilità passiva

Nel 2009, i ricoveri che si riferiscono ai cittadini pugliesi sono stati 750.000.

I ricoveri fuori regione sono sta circa 67mila e rappresentano il 9% dei ricoveri totali. Dal 2001 al 2009 la mobilità passiva è aumentata. Ossia sono aumentati – in valore assoluto e in percentuale - i ricoveri fuori regione. Erano infatti 61.100 nel 2001 (il 6,3% del totale). L’aumento è dunque di 6mila ricoveri.

Perché si va fuori regione per curarsi?

Quanto si spende per curarsi fuori regione?

Alla prima domanda possiamo rispondere parzialmente. Cioè possiamo sapere per quali malattie i nostri concittadini pugliesi si ricoverano fuori regione. E troviamo alcuni elementi molto interessante.

I tumori sono la prima causa di ricovero fuori regione.

Nel 2009 ci sono stati 68mila ricoveri per tumore, di questi 7.437 (oltre il 10%) sono stati fatti fuori regione, tipicamente in Lombardia, Emilia Romagna e Lazio.

Un altro dato molto interessante è che la mobilità extraregionale per ricoveri riguarda per la maggior parte (oltre il 55%) patologie a bassa complessità. Secondo gli estensori del piano, la scelta di recarsi in ospedali anche distanti - per patologie a bassa complessità - ha diverse motivazioni: la principale è sicuramente la scarsa informazione del paziente e spesso anche degli operatori sanitari rispetto alle possibilità offerte in regione;

segue poi la problematica delle liste di attesa e così via.

Quanto ci costa la mobilità passiva?

Se guardiamo al rapporto CEIS (il CEIS è il centro internazionale di studi economici dell’università Tor Vergata di Roma che ogni anno pubblica un rapporto sulla sanità italiana) vediamo che nel 2008 la Regione Puglia ha speso per la mobilità passiva 175 milioni di euro.

È un saldo, ossia la differenza tra quanto riceviamo dalle altre regioni italiane per i cittadini che scelgono di ricoverarsi in Puglia e quanto restituiamo alle altre regioni per la cura di nostri concittadini pugliesi.

Nel 2008 si sono spesi 175milioni di euro. Era 90 milioni, circa la metà di quanto si spende adesso, il saldo del 2001.

I ricoveri a bassa complessità, quelli che si potrebbero fare anche in Puglia, se i cittadini e gli operatori sanitari fossero adeguatamente informati e se le liste di attesa fossero adeguate ci costano circa 45 milioni di euro all’anno.

I ricoveri extraregionali per patologie di alta complessità costano circa 80 milioni per anno.

Sarebbe molto utile che le ragioni che spingono le persone ad andare fuori regione a curarsi fossero studiate chiedendo direttamente ai pazienti i motivi che li spingono ad andare fuori regione, informandosi su chi tra familiari, amici medico di base o specialista li ha indirizzati fuori regione e analizzando i costi, anche quelli sostenuti direttamente dalle famiglie per spostamenti e soggiorni in altre regioni.

La spesa farmaceutica territoriale

Un altro elemento critico che emerge dalla lettura del piano di rientro è quello che si riferisce alla spesa farmaceutica.

La Regione Puglia ha una spesa farmaceutica, in particolare quella territoriale, che è in eccesso rispetto alla media italiana. Per dare l’idea della dimensione del problema, è sufficiente sapere che ciascuno di noi pugliesi, in media, ha speso nel 2009 210 euro in farmaci. 210 euro. Un italiano in media spende 25 euro in meno. I veneti ne hanno spesi 50 in meno di noi all’anno.

Una domanda da porsi è perché in Puglia si spendono così tanti soldi in farmaci? È un indicatore di cattivo stato di salute? Cioè spendiamo tanto perché stiamo peggio? O perché c’è qualcosa che non funziona.

Gli estensori del piano hanno 3 ricette – la cui efficacia sarà interessante comprendere e verificare - per risolvere il problema:

  1. Incentivazione del ricorso ai farmaci generici;

  2. Riorganizzazione dei ticket farmaceutici;

  3. Individuazione delle fonti dell’aumento prescrittivo.

Le apparecchiature tecnico-biomediche

Un dato molto importante che è contenuto nel rapporto CEIS riguarda la presenza o meno di apparecchiature tecnico-biomediche per la diagnosi e la cura nelle strutture di ricovero e cura presenti sul territorio. La presenza di apparecchiature è considerata come un elemento cruciale per definire la qualità dell’offerta di tali strutture.

I dati ci dicono che, ancora una volta, sono le regioni del nord quelle con la presenza maggiore di apparecchiature. La media in Italia è di 4,85 apparecchiature ogni 100mila ab. In puglia il tasso è di 4.18. Ciò che colpisce però è la frequenza con cui, nelle regioni meridionali – in particolare in Sicilia Calabria e Puglia - troviamo queste apparecchiature nelle strutture private accreditate.

Frequenza che è inferiore solo al dato di Bolzano e della Lombardia.

Negli ospedali pubblici del sud, dunque, ci sono meno apparecchiature biomediche di quelle che ci sono negli ospedali pubblici del nord. È un dato questo che trova evidentemente riscontro in scelte politiche tendenti a privilegiare il privato.

Complessità

La non-omogeneità nella distribuzione delle apparecchiature si accompagna ad una diversa complessità dei casi trattati nelle strutture di nord, centro e sud Italia.

Le Regioni caratterizzate da una casistica più complessa sono ancora quelle settentrionali: Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria alle quali si aggiunge la Toscana.

Le altre Regioni centrali si posizionano nella zona intermedia, mentre tutte le Regioni meridionali (non fa eccezione la Puglia) presentano valori nettamente inferiori.

Questo indicatore, infatti, è compreso tra 90 e 100 in Piemonte (quanto maggiore è il punteggio tanto maggiore è la complessità); e in Puglia è poco più di 20.

Inappropriatezza

Un altro triste primato per le regioni meridionali è, purtroppo, rappresentato dall’inappropriatezza dei ricoveri. La Toscana è la prima regione in Italia per appropriatezza dei ricoveri. La Calabria è l’ultima.

La Puglia è quart’ultima, dietro a Sicilia, Basilicata, Abruzzo e a tutte le regioni del centro-nord.

L’appropriatezza dei ricoveri purtroppo sembra non risiedere in Puglia.

Conclusioni

Davanti a questo quadro e per tornare al titolo di questo incontro, penso che la nostra sanità non goda di buona salute. Abbiamo visto che ci sono diverse criticità: la mobilità passiva; la spesa farmaceutica fuori controllo; una carente dotazione di apparecchiature biomediche; bassa complessità dei ricoveri ed alta inappropriatezza.

Di là dalla propaganda di destra e sinistra questi sono i problemi sul tappeto.

Io penso sia necessario recuperare lo spirito e i valori del servizio sanitario pubblico.
La salute e la sanità – che è bene ribadirlo, rappresenta un determinante della salute, non l’unico, perché ad essa si accompagna, per esempio, la prevenzione primaria e cioé la garanzia di un ambiente di vita e di lavoro salubre – dovrebbero essere oggetto di riflessione politica non di strumentalizzazione elettoralistica.

Ed è la riflessione sui valori che urge avviare. Una riflessione che deve cominciare dall’articolo 32 della costituzione che definisce la salute diritto fondamentale e interesse della collettività. Valori che per essere realizzati necessiterebbero di una Politica-Altra. Che, è evidente, non può essere la politica della perenne-emergenza.

Allo stesso tempo penso che questo territorio, questa regione abbia le risorse intellettuali per avviare – con onesta intellettuale - questa riflessione. Ed è da qui, dall’onesta intellettuale, che bisogna cominciare questo percorso di riflessione. Oltre la contingenza. Oltre la destra e la sinistra.

venerdì 3 giugno 2011

QUANTO CI COSTANO LE PROTESI IN ITALIA?


Il British Medical Journal di qualche settimana fa titolava così una breve new:”Una compagnia di impianti ortopedici paga 5 milioni di sterline per aver effettuato pagamenti per corrompere chirurghi greci”. Si tratta della De Puy International, una controllata americana del gigante biomedico Johson&Johson. Il ristoro per le casse pubbliche inglesi è stato disposto dall'Ufficio Grandi Frodi, come potremmo tradurre Serious Fraud Office, dell'Alta Corte di Londra.


“I prezzi di anche e ginocchia artificiali ed altri prodotti sono stati gonfiati per ottenere circa 4,5 milioni di sterline in tangenti, soprattutto per i chirurghi che avevano influenza nella decisione circa quale prodotto si dovesse usare nel loro ospedale o clinica. Dal 1998 al 2007 il governo greco ha pagato ad una compagnia intermediaria della De Puy circa 33,5 milioni di sterline per prodotti ortopedici. “Il prezzo di una protesi del ginocchio in Grecia era il doppio della media europea, con i contribuenti greci a pagare il conto”. Le autorità greche , da parte loro, hanno trattenuto 5,79 milioni di euro mentre le indagini sono in corso. L'ex direttore del marketing della De Puy International, “John Dougall dichiara che la pratica corruttiva di pagare tangenti o ricompense ai chirurghi ortopedici greci del servizio pubblico era endemica...I pagamenti erano generalmente giustificati come incentivi in contanti oppure come il cosiddetto 'aggiornamento professionale'. Il livello dei fondi resi disponibili per 'aggiornamento professionale' era fissato al 20% del valore del prezzoo al consumatore finale”. John Dougall è stato condannato nell'agosto 2010 a 12 mesi di carcere per aver cospirato perché si effettuassero i pagamenti illeciti, ma la pena è stata sospesa per aver cooperato con la giustizia.


Richard Alderman, direttore del Seious Fraud Office ha dichiarato: “Noi abbiamo collaborato con il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti per trovare una soluzione che serva sia agli interessi di giustizia che al desiderio della compagnia di mettersi alle spalle l'attività illegale e andare oltre. Credo che l'ordinanza approvata dall'Alta Corte verrà illustrata alle altre compagnie in modo che vedano come il SFO lavora a stretto contatto con organizzazioni di tutto il modo per rinforzare gli standard etici, ma si vorrà anche favorire il contatto con le compagnie in modo che vengano da noi con i loro problemi per trovare le soluzioni”. Quindi una giustizia che non solo punisce anche ma corregge e previene. Molto diversa da quella a cui siamo abituati in Italia.


La vicenda internazionale delle protesi è circolata poco sulla stampa italiana. La cronaca giudiziaria pugliese si è interessata di più agli aspetti politico-sessuali della tangentopoli nostrana, con i suoi addentellati romani . Ma quanto costano e sono costate le protesi nella nostra regione? Questo interesserebbe di più i contribuenti pugliesi, soprattutto in tempi di ristrettezze per la sanità regionale e di imposte addizionali come quelli che si vivono.


sabato 14 maggio 2011

ANOMALIE CONGENITE A BRINDISI. UN ALTRO PRIMATO NEGATIVO. QUANDO IL REGISTRO DELLA MALFORMAZIONI?


“Le anomalie congenite e la loro prevenzione primaria, per mezzo del controllo dei fattori di rischio ambientale, rappresentano un importante tema di salute pubblica”. Così esordisce lo studio condotto da 11 ricercatori dell'Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Lecce e di Pisa, del Reparto di Neonatologia del Perrino e della ASL di Brindisi (Gianicolo Emilio Antonio Luca, Bruni Antonella, Rosati Enrico, Sabina Saverio, Guarino Roberto, Pierini Anna, Padolecchia Gabriella, Leo Carlo, Vigotti MariaAngela, Andreassi MariaGrazia, Latini Giuseppe ) dal titolo “Anomalie congenite totali e cardiologiche a Brindisi. Un legame con l'inquinamento ambientale?” che è stato presentato in questi giorni in un congresso medico proprio nella nostra città.

Si tratta di uno studio assolutamente nuovo nel panorama degli studi epidemiologici condotti in questa area e purtroppo conferma un primato negativo già riscontrato con gli altri tipi di ricerche sulla diffusione delle malattie (mortalità, incidenza tumorale) finora disponibili.

Si sà, le malformazioni congenite sono una spia molto precoce e molto sensibile di sostanze nocive nell'ambiente e negli organismi animali. Per questo, opportunamente e meritoriamente, i ricercatori che si sono impegnati nello studio hanno voluto far luce sulla situazione a Brindisi. L'analisi ha riguardato le diagnosi di anomalie congenite in nati da madri residenti a Brindisi che abbiano partorito in qualunque ospedale italiano dal 2001 al 2009, nell'età da 0 a 28 giorni di vita. Il risultato è stato confrontato con i dati della rete di sorveglianza europea sulle anomalie congenite (EUROCAT).

I risultati hanno evidenziato 176 anomalie congenite su 7644 nati vivi con una prevalenza di 230 casi su 10.000 nati vivi, maggiore di 1,18 volte rispetto al dato del registro EUROCAT (cioè il 18% in più di anomalie totali). Per le anomalie cardiache l'eccesso rispetto al registro europeo è del 67%.

I ricercatori, nel discutere i risultati, sono ben consapevoli dei limiti del loro lavoro, tuttavia ritengono di aver dimostrato che le denunce di malformazioni congenite sono uno strumento affidabile per lo studio del fenomeno. Inoltre prendono in considerazione gli studi disponibili in tutto il mondo sull'argomento e le correlazioni dimostrate tra diversi inquinanti (molti presenti anche a Brindisi) e le malformazioni congenite. Infine suggeriscono misure di prevenzione primaria, “necessarie sia a livello indivisuale (consigliando alla donna prima che diventi incinta) ed a livello di popolazione (regolando le esposizioni domestiche, occupazionali e di comunità) per proteggere la donna che non sa ancora di essere incinta e condurre l'esposizione sotto il controllo degli individui”.

Non sarebbe il caso che le autorità sanitarie (Regione, ASL) istituissero un registro delle malformazioni congenite in modo da approfondire il fenomeno ed individuare precise cause su cui poter agire preventivamente?

domenica 8 maggio 2011

IL GIORNO CHE VERRA' Intervista


Quale è attualmente la situazione ambientale e sanitaria del nostro territorio?
L'area di Brindisi è definita sia ad alto rischio di crisi ambientale che sito di interesse nazionale per le bonifiche. Ciò significa che per il legislatore italiano, in ragione del tipo di industrie presenti, l'ambiente, cioè il suolo, l'aria e l'acqua, ha ricevuto sostanze che ne possono compromettere l'integrità. A seguito di queste definizioni sono stati effettuati dei controlli sul suolo e sulle falde sotterranee che hanno evidenziato un grave inquinamento da parte di sostanze chimiche tossiche ed alcune cancerogene il quale , a sua volta, mette a rischio la salute delle popolazioni.
Altra questione è la situazione sanitaria. Su Brindisi città e sull'area (che include altri tre comuni, Carovigno, S.Pietro e Torchiarolo) sono stati condotti diversi studi epidemiologici che hanno rilevato un aumento della mortalità generale, cioè per tutte le cause, negli uomini e fino al 1990 anche per le donne. In parole povere, ogni anno la città ha avuto in media 18 decessi in più di quanti sarebbe stato giusto attendersene se la mortalità fosse stata uguale a quella della restante regione. Gli esperti hanno interpretato questa maggiore mortalità a danno del sesso maschile come espressione di esposizioni nocive negli ambienti di lavoro. Lettura molto plausibile. Un altro studio rileva una mortalità per alcuni tipi di tumori che decresce man mano che ci si allontana dall'area industriale. Questo dato è interessante e meriterebbe di essere approfondito e aggiornato.
Che cosa è il registro tumori ionico-salentino? Quanto è efficace ed utile?
Un registro tumori è, come dice il nome uno strumento di registrazione, e come tale è utile sul lungo periodo. I tumori hanno la caratteristica di comparire a distanza di anni ed anche decenni dall'esposizione al cancerogeno. Il registro annota quindi un evento la cui causa si colloca indietro nel tempo e che potrebbe non essere più attiva nel momento di cui il tumore dalla stessa causato viene rilevato. Fatta questa premessa, il registro tumori registra i nuovi casi di tumore che ogni anno vengono diagnosticati, quindi l'incidenza, ed è più utile per quei tumori che hanno un maggior tasso di guarigione, per quelli che purtroppo non si riescono a guarire, la mortalità coincide con l'incidenza e lo sforzo della registrazione non viene premiato in termini informativi. Con un'osservazione di decenni si potrebbero trarre delle considerazioni di politica ambientale. Con ciò voglio dire che è necessario avviarlo, ma la sua utilità si apprezzerà tra molti anni. Il registro può dare informazioni utili subito come la sopravvivenza degli ammalati dei tumori. Al contrario sarebbe uno strumento utile per valutare l'efficacia delle cure. A Lecce, nelle prime due edizioni del registro tumori di quella provincia questo dato è stato riportato.
Esistono dei dati, degli studi che attestino la gravità della situazione territoriale rispetto alla media nazionale di patologie tumorali?
L'impatto delle mutate condizioni ambientali sulla salute dei brindisini è stato studiato in particolare da alcuni ricercatori di istituti del CNR di Lecce che hanno evidenziato due fenomeni interessanti. Un primo riguarda i ricoveri ed i decessi per cause cardiorespiratorie che aumentano quando alcuni inquinanti, come le polveri sottili, SO2 e Nox, si innalzano di 10 ng. L'altro riguarda i venti e cioè quando i venti spirano dai settori sud orientali, le centraline registrano un aumentano degli inquinanti e quindi dei fenomeni sanitari che dicevo poc'anzi, i ricoveri ed i decessi per cause cardiorespiratorie. Sono gli anziani a patire maggiormente di questi fenomeni. Quando siamo sotto vento all'area industriale il fenomeno è più evidente.
Un malato di tumore è adeguatamente assistito in questo territorio?
Per rispondere a questa domanda bisognerebbe confrontare la sopravvivenza per ogni tipo di tumore qui e in altre parti del paese. Un'informazione che il registro tumori potrebbe fornire da subito. I dati per macro aree, nord centro sud, ci dicono che la mortalità e l'incidenza per tumore erano più basse al sud nei decenni passati. Ma mentre al nord ed al centro entrambe tendono a calare, al sud la tendenza è alla crescita per cui stiamo per fare un sorpasso, questa volta negativo. Anche l'ultima relazione sullo stato di salute della popolazione della ASL di Brindisi dello scorso anno riporta che dal 2000 al 2008 la mortalità per tumore nella provincia è stata in crescita. Se questo fenomeno dipenda dalla qualità delle cure , è difficile affermarlo con certezza, è però possibile dire che alcuni ritrovati terapeutici ed alcune attività di screening sono mancati per decenni e solo da poco sono disponibili. E ancora non tutti.
Quanto è difficile oggi svolgere la sua professione qui?
Molto. La medicina si aggiorna velocemente. Non tutto il nuovo è utile ed efficace, ma l'aggiornamento tecnologico dovrebbe essere un'attività naturale nel servizio sanitario. Invece avviene per scossoni e senza programmazione. Oggi passa un'occasione di finanziamento, devi saperlo ed essere capace di non perderla. Se la perdi, se ne può riparlare anche dopo dieci anni.
È difficile perché il cosiddetto supporto o la burocrazia, come vogliamo chiamarla, è lenta nel cogliere le necessità dell'assistenza sanitaria e così i tempi di risposta all'utenza si allungano.
Poi c'è una tradizionale diffidenza dei nostri concittadini verso i loro medici. In parte fondata, in parte frutto anche di una classe medica che è spesso impegnata in altre attività soprattutto in politica e questo non rassicura gli ammalati. C'è anche un'organizzazione settoriale dell'assistenza per cui soprattutto al sud è il malato che deve cercarsi gli specialisti che invece dovrebbero stargli intorno evitandogli percorsi accidentati. In questo gioca molto sia una mentalità medica individualista che una carenza di cultura organizzativa.
Esiste un legame accertato tra l’inquinamento industriale e lo sviluppo di patologie gravi per la salute?
Se la letteratura scientifica sull'argomento si potesse pesare, direi che ci sono tonnellate di studi che dimostrano la relazione tra inquinamento, non solo industriale, e varie malattie e non solo tumorali. L'inquinamento atmosferico colpisce il cuore ed i polmoni anche in tempi brevi dall'esposizione; intorno alle discariche si registrano malformazioni neonatali; alcuni inquinanti nell'acqua potabile sono stati messi in relazione con i tumori della tiroide; i pesticidi con malattie tumorali e malattie del sistema nervoso e l'elenco potrebbe continuare.
Il fenomeno interessa esclusivamente gli abitanti di questa provincia o può essere esteso anche alla vicina provincia di Lecce?
La provincia di Lecce soffre per altri tipi di inquinamento. I tassi di incidenza tumorali del registro tumori di Lecce nel 2003 e 2004 sono più bassi, sia per gli uomini che per le donne, di quelli della città di Brindisi come rilevati dal breve periodo del registro tumori jonico salentino (1999-2001). L'inquinamento atmosferico non rispetta i confini amministrativi e sostanze emesse dalle industrie brindisine finiscono, sia pure diluite ed a seconda delle condizoni metereologiche, anche nel leccese.
Si può parlare di “emergenza ambientale” in riferimento a questo territorio? Se dovesse spiegare tutto questo ad un bambino che cosa gli direbbe?
Uno studio recentissimo dei soliti attivissimi ricercatori del CNR ci dice che le emissioni dal 1992 ad oggi sono molto diminuite. Alcune fonti importanti nel passato sono oggi ferme, temporaneamente o definitivamente. Probabilmente l'emergenza c'era quando si era meno consapevoli. L'inquinamento del suolo e delle falde è un retaggio del passato che continua a minacciarci. Mentre del destino di molte sostanze emesse dalla ingentissima combustione di carbone non sappiamo ancora nulla. Penso, ad esempio, ai metalli pesanti ed alla radioattività. È ormai tempo di procedere in due direzioni precise. Una è già stata intrapresa ma va consolidata: quella del potenziamento delle attività di controllo dell'ARPA. L'altra è lo studio epidemiologico non più su tutta la popolazione della città ma su quelle porzioni di popolazione che sono più vicine alle fonti di rischio e sui lavoratori.
Di che cosa si muore in questa terra?
Se stiamo ai dati che sono finora disponibili direi che si muore come si moriva nel più industrializzato nord e cioè di tumori e di malattie cardiovascolari. E si continua a morire di lavoro. Non mi riferisco alle morti accidentali, ma agli effetti che i cancerogeni industriali continuano a produrre in lavoratori anche a distanza di molti anni dall'uscita dal ciclo produttivo. Questo è un altro capitolo doloroso di questa città. Ancor più doloroso perché si è deciso da parte di molti, forse anche degli stessi interessati, almeno la gran parte, di non andare a fondo. Gli studi condotti sui morti del petrolchimico sono viziati da gravi errori metodologici e le autorità politiche e sanitarie, pur messe sull'avviso, non hanno inteso correggerli. Con danno per la verità e per i tanti, malati o superstiti, che cercano ancora un qualche ristoro.
Una donna, che paura deve avere nel mettere al mondo un figlio?
La fase della gestazione è sicuramente delicatissima. In questa fase della vita così sensibile a tutti i tossici ambientali le precauzioni non sono mai troppe. Noi sappiamo che in Puglia la mortalità infantile è ancora più alta che nel resto d'Italia e questo dipende da diversi fattori, non solo dall'inquinamento. Mancano studi sulle malformazioni neonatali fatti in loco. Ma non tarderanno, immagino. Ma anche qui, come per il registro tumori, gli studi fotografano situazioni di rischio che forse conosciamo già. Che bisogno c'è di attendere gli studi per non esporre le persone?
Cosa rappresenta per lei il movimento “No al Carbone”?
Un movimento prevalentemente giovanile che ha spostato l'attenzione della opinione pubblica sui rischi per l'ambiente e per la salute derivanti da una così grande ed infrequente concentrazione di combustione di carbone. Oltre a far comprendere la portata del problema ai comuni cittadini, ha fatto emergere le difficoltà delle istituzioni rispetto alle multinazionali energetiche. La partita è grossa e le squadre in campo sono impari, diciamo capolista e fanalino di coda. Poi se qualcuno rema contro o l'arbitro non è imparziale, il risultato è quasi scontato. Ma la palla è rotonda....
Dal punto di vista della salute pubblica e del rispetto ambientale, si sente tutelato in questo territorio? A tale proposito, come immagina suo figlio in futuro?
La salute pubblica e la salubrità ambientale non sono un pallino di qualche anima sensibile ma sono il risultato dei rapporti economici. Se io per ingrandire la mia attività incominciassi a fare il prepotente con i miei vicini, finirei per realizzare una piccola guerra con tutte le sue conseguenze. Non credo che un territorio possa vivere solo di produzione energetica o solo di produzione chimica o solo di turismo o solo di agricoltura. La salute pubblica e la situazione ambientale di cui abbiamo discusso risentono delle scelte che prediligono i mega insediamenti, logica che continua anche con le energie rinnovabili. Oligopoli si aggiungono o si sostituiscono ad oligopoli. E i risultati di salute sono gli stessi. Non parlo quindi da economista ma da tecnico della salute.
Mi piacerebbe vedere un mio figlio in un ambiente in cui le soluzioni si ricercano con metodo scientifico. Non basta avere una università o due ed un parco tecnologico se non li si coinvolge nelle decisioni che ci riguardano. Anche i centri della conoscenza vivono nella separatezza, come l'industria e le istituzioni. Con l'aggravante che molti dei nostri figli qui non ci sono più e difficilmente torneranno, se non come succede sempre più spesso, per raccontare quello che fanno efficacemente altrove.

martedì 22 marzo 2011

PUGLIA: INUTILE CAMBIARE I DIRETTORI GENERALI


Qualche settimana fa una seconda bufera giudiziaria si è abbattuta sulla sanità pugliese, quella del corso “rivoluzionario” per intenderci.
Ci sono infatti anche quelle del corso “conservatore” ma la loro memoria non sopravvive alla velocità del flusso mediatico.
La lettura degli atti giudiziari non sarà edificante ma è sicuramente istruttiva.

Preoccupato dalla “nudità” in cui questa disponibilissima lettura ha posto le attuali forze di governo, il maggiore partito della coalizione ha “unanimemente” chiesto due cose: l'azzeramento dei vertici delle asl (alias direttori generali) e il loro reclutamento per “concorso”.
Se fossero sinceramente orientate ad ottenere un concreto cambiamento della situazione, le due proposte sarebbero perfettamente inutili.

Nel primo caso si tratterebbe di cambiare i burattini lasciando lo stesso burattinaio. D'altronde non è pensabile che il burattinaio si suicidi.
Infatti la sanità è l'unico settore in cui la gestione è affidata direttamente alla politica. Nella scuola, nell'università e nella magistratura i gestori sono eletti tra gli operatori, in sanità no.
È un retaggio della riforma del '78, modificato in maniera distorsiva nel '92, per cui la sanità deve essere gestita dai cittadini, prima attraverso i suoi rappresentanti (comitati di gestione) e poi attraverso manager nominati dai loro rappresentanti (attuali direttori generali).
Alla fine i cittadini non hanno mai contato niente e i politici hanno fatto e sfatto a loro piacimento.
Pertanto, se il comando rimane sempre in mano alla politica, a che serve cambiare i direttori generali? Se si cambiassero solo quelli che, avendo ricevuto più finanziamenti, non hanno migliorato il deficit di bilancio, se ne salverebbero solo due (BAT e LECCE, vedi bilanci del 2008) e sarebbe già un criterio.
Ma tutti a casa in base a quale criterio? Perché non hanno resistito alle molestie di qualche politico? Allora avrebbero avuto bisogno di qualche corso di ascetica, che li temprasse nella tentazione!

C'è poi la seconda proposta, quella del “concorso”.
Qui non voglio dilungarmi in ritrite questioni moraleggianti. Ma affido la conclusione di questo articolo ad una divertente citazione di quanto scritto da una rivista scientifica in proposito.
“ Nel numero del 25 Novembre 1993, l’autorevolissima rivista scientifica Nature dedicava quasi un’intera pagina al sistema meritofobico del “concorso” (in italiano nel testo) per il reclutamento di professori nell’Università italiana. Lo spunto era offerto dall’accettazione, da parte del TAR, di un ricorso presentato dal solito plurititolato ricercatore trombato da 5 colleghi, vincitori tutti molto meno titolati di lui.
L’articolo era illustrato da una vignetta con un notabile rinascimentale che mostrava ad un Leonardo da Vinci visibilmente contrariato i risultati di un immaginario, ma verosimile concorso, i cui vincitori erano nell’ordine: 1) A. Borgia; 2) C. Borgia; 3) D. Borgia; 4) F. Borgia; 5) H. Borgia. Nel mostrargli la graduatoria, il commissario consolava così l’illustre trombato: “Non fa niente, Leonardo, andrà meglio la prossima volta”.”





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sabato 12 marzo 2011

PER UNA TOTALE RIFORMA SANITARIA




Quando si parla di sanità è ormai inevitabile che si finisca per parlare di politica, di addossare responsabilità o meriti a questo o a quel partito, a questo o a quel governo nazionale o regionale. Un tale fenomeno non rappresenta una distorsione della verità ma è la conseguenza di un dato di fatto per cui anche semplici scelte organizzative vengono decise dalla politica quando questa è sollecitata da interessi particolari, quasi mai pubblici. Senza risolvere questo nodo, sarà difficile osservare nei prossimi anni una maggiore efficienza del sistema. Tutt'altro.

I possibili correttivi non riguardano le competenze regionali ma in generale la normativa nazionale.

In primo luogo sarebbe necessario riaffidare la gestione delle strutture alle professioni sanitarie. Come nella scuola, nella giustizia, nell'università il management sanitario dovrebbe essere eletto dagli operatori. I direttori generali (degli ospedali e dei distretti separatamente) così nominati dovrebbero essere affiancati da consigli di amministrazione, anche essi elettivi. Il governo regionale dovrebbe produrre le norme regolatrici e basta.

Una ulteriore riforma dovrebbe riguardare il finanziamento del sistema. Non più una quota capitaria alla unità territoriale, la ASL attuale su base provinciale, ma un budget per la diagnosi e la cura territoriale (diagnostica ambulatoriale, farmaci ecc) da affidare alle famiglie che possono spenderlo dove credono, ed una remunerazione degli ospedali a ricovero su base centrale. Le regioni garantirebbero quindi l'emergenza, la prevenzione e gli eventi sanitari più gravi che richiedono ricovero ed interventi chirurgici.

Declinicizzare gli ospedali e ritornare agli ospedali di insegnamento. I medici tornerebbero cioè formarsi, come era prima della riforma Gentile, negli ospedali sotto la guida di medici qualificati, quelli che prima si chiamavano Liberi Docenti. Ciò permetterebbe di coniugare negli ospedali ricerca ed assistenza con grande vantaggio per entrambe.

In poche parole, fuori la politica dalla gestione, sopravvivi come struttura se lavori ed attrai pazienti, attrai pazienti se studi e sei qualificato.

Purtroppo quando si è costretti a dire alcune ovvietà, vuol dire che si è toccato il fondo.





venerdì 4 marzo 2011

IL CARBONE PULITO E LA SANITA' DORMIENTE


Alcuni ricercatori di varia nazionalità (USA, Svizzera, Nuova Zelanda) hanno recentemente (febbraio 2011) pubblicato un interessante lavoro scientifico in cui mettono in relazione i consumi elettrici, i consumi di carbone come combustibile e alcuni risultati di salute. L'analisi è stata condotta su serie di dati relativi a 41 paesi nel mondo e sulle condizioni di salute in un periodo che va dal 1965 al 2005. L'elettricità serve per ottenere acqua potabile e per riscaldare gli ambienti di vita senza inquinarne l'aria. Ma i costi sanitari esterni agli impianti di produzione di energia con combustibile fossile come il carbone rappresentano circa il 70% dei costi esterni totali e sono stati stimati negli USA, dalla Accademia Nazionale delle Scienze, in 120 miliardi di dollari solo per il 2005.

L'analisi ha evidenziato che l'aumentato consumo di elettricità è associato ad una riduzione della mortalità infantile per quei paesi in cui nel 1965 la stessa era superiore a 100 casi per 1000 nati vivi, e ad un aumento dell'aspettativa di vita se inferiore ai 57 anni nel 1965 (e non è il nostro caso per entrambi i parametri!). Gli autori sostengono che i loro dati dimostrano che un crescente consumo di carbone è associato ad un aumento della mortalità infantile e ad una riduzione dell'aspettativa di vita al netto dei vantaggi anzidetti. Per questo concludono che l'aumento di consumo di elettricità in paesi con una mortalità infantile inferiore a 100 per 1000 nati vivi “non comporta un maggior beneficio in termini di salute mentre il consumo di carbone produce significativi impatti negativi sulla salute”.

Continuano, quindi, ad essere prodotti lavori che confermano l'impatto negativo del consumo di carbone sulla salute delle popolazioni laddove viene impiegato. Ogni nuovo lavoro consolida quanto è già ben noto e cioè che le centrali a carbone, per quanto vantaggiose per il basso costo del combustibile, hanno un costo “esterno” all'impianto che viene addebitato alla collettività. Altrove queste verità non si nascondono e gli stessi governi commissionano analisi approfondite per stabilire i vantaggi e gli svantaggi di manutenere, riconvertire o dismettere certi impianti.

Ma cosa succede da noi? Si confonde l'indubbio valore sociale del lavoro prodotto dall'industria energetica con la sua innocuità sanitaria ed ambientale.
Se su Torchiarolo incide il 10% di inquinanti provenienti da Cerano ed il 15% di quelli provenienti dal Petrolchimico, perché un rimedio per contenere gli sforamenti delle letture delle centraline di quel Comune si deve pagare al 100% con denaro pubblico? Valutiamo, pur con i limiti della scienza, l’impatto sulla qualità dell’aria delle singole componenti. Ognuno paghi per quello che inquina, soprattutto se lo fa per profitto e non per riscaldarsi.

Il rigore scientifico paga sempre, la propaganda può nascondere la polvere sotto il tappeto, ma prima o poi, in termini di inquinamento o di danni alla salute, la verità emergerà. Bisognerebbe replicare gli studi che vengono effettuati in tutto il mondo vicino alle centrali a carbone anche a Brindisi. Perché questo non si fa?
Il Servizio Sanitario Regionale, per quanto impegnato – come risulta dagli atti giudiziari pubblicati in questi giorni – in tutt'altre faccende, dovrebbe valutare più attentamente lo stato di salute della popolazione in rapporto ai più svariati fattori di rischio. Altrimenti non ha molto senso sbracciarsi per il diritto alla salute quando la salute è già stata irrimediabilmente persa.




lunedì 21 febbraio 2011

DIRETTORI GENERALI SI NASCE


Il direttore generale di una ASL è una figura che oserei definire “parafulmine” nella dialettica tra i vari interessi in gioco nel servizio sanitario italiano. Nominato dalla giunta regionale per legge, ne dipende in maniera totale, nel senso che dovrebbe eseguirne le linee di indirizzo. In realtà è sovraccaricato di richieste politiche in gran parte tese a soddisfare esigenze individuali o di gruppo sponsorizzate da questo o quel politico o sindacato. Il suo potere, infatti, è totale, come un giudice monocratico. In realtà, posto alla testa di una struttura con non meno di 4000 dipendenti diretti ed un migliaio indiretti, non riesce assolutamente a controllare tutto sebbene risponda di tutto ciò che accade. Su questa sua forza/debolezza gioca molto il potere politico e sindacale. La sanitopoli pugliese ne ha decapitato qualcuno e la politica ne è uscita indenne, almeno stando all'esito delle ultime regionali. Che il controllo sia quasi impossibile lo dimostrano, ancora una volta, le recenti vicende giudiziarie dell'ospedale di Altamura, dove alcuni dirigenti amministrativi avrebbero fatto, secondo l'accusa, il bello ed il cattivo tempo pressoché indisturbati.
Ma la propaganda è propaganda. E così nel 2010 la giunta regionale, stravolgendo la legge nazionale sul reclutamento dei direttori generali che comunque rimane una operazione politica e non meritocratica, invita i quasi 400 iscritti negli elenchi regionali ad un esame al quale si presentano in 148. Di questi solo 33 però superano il test (scritto e orale) e vengono avviati ad un corso da supermanager. Il messaggio propagandistico è chiaro. Stiamo formando il meglio del management per governare le ASL. Guarda caso nei 33 ci sono tutti i 10 direttori generali in carica, compresi quelli che nonostante l'incremento delle assegnazioni finanziarie, hanno chiuso i bilanci con un disavanzo ancora maggiore degli anni precedenti (vedi i bilanci 2008 quando solo la ASL LE e BAT riducono il disavanzo). Ma tant'è!
La novità più sorprendente, per me ovviamente, è che in queste settimane è stato sbandierato con comunicati altisonanti il “practicum” che i 33 hanno iniziato nelle ASL pugliesi, quelle stesse che dovrebbero essere risanate. Un vero controsenso.
Premesso per l'ennesima volta che non ho partecipato all'esame suddetto perché non sono più, personalmente e politicamente, interessato a far il direttore generale, leggendo questa notizia mi sono ricordato che durante il mio breve mandato mi premurai di stipulare una convenzione gratuita con la ASL di Bologna dove inviare i dirigenti della ASL da me diretta ad imparare qualcosa di buono. Io stesso ricordo di aver visitato il Pronto Soccorso dell'ospedale di Bentivoglio (diretto da un medico tarantino) e di esserne rimasto affascinato. Eppoi un distretto di Bologna dove c'era la medicina generale e la specialistica più frequentemente richiesta (compresa l'ecografia) nonché la farmacia per la dispensazione diretta dei farmaci, tutte concentrate concentrate in uno stesso stabile a disposizione dei malati.
Cosa potranno imparare di più e di meglio gli aspiranti direttori generali girando per le ASL pugliesi?

lunedì 14 febbraio 2011

Simone Weil: ULTIME PAGINE



Credo in Dio, nella Trinità, nell’incarnazione, nella redenzione, nell’eucaristia, negli insegnamenti del Vangelo.
Ho detto che credo a queste verità, non che sottoscrivo a quanto afferma la Chiesa su di esse, affermandole come si affermano dei dati dell’esperienza o dei teoremi di geometria. Io vi aderisco grazie all’amore alla verità perfetta, inafferrabile, racchiusa in quei misteri e tento di aprire ad essa la mia anima per lasciar penetrare in me la luce.
Non riconosco alla Chiesa nessun diritto di limitare le operazioni dell’intelligenza o le illuminazioni dell’amore nell’ambito del pensiero.
Le riconosco invece la missione, come depositaria dei sacramenti e custode dei testi sacri, di formulare delle decisioni su certi punti essenziali, ma solo a titolo di indicazione per i fedeli.
Non le riconosco il diritto di imporre i commenti di cui ella circonda i misteri della fede come se fossero la verità; ancor meno le riconosco il diritto di usare la minaccia e il terrore esercitando, per imporre quella verità, il potere di privare i fedeli dei sacramenti.
Per me, nello sforzo di riflessione, un disaccordo apparente o reale con l’insegnamento della Chiesa è solo un motivo per sospendere per molto tempo il pensiero, un invito a spingere il più lontano possibile l’esame, l’attenzione e lo scrupolo, prima di affermare qualcosa. Ma è tutto.
Detto questo, io medito su ogni problema relativo allo studio comparato delle religioni, alla loro storia, alla verità racchiusa in ciascuna di esse, ai rapporti della religione con le forme profane della ricerca della verità e con l’insieme della vita profana, al significato misterioso dei testi e delle tradizioni del cristianesimo; medito su tutto questo senza nessuna ambizione di un accordo o di un disaccordo possibile con l’insegnamento dogmatico della Chiesa.
Sapendomi fallibile, sapendo che tutto il male che ho la pigrizia di lasciar vivere nel mio animo, vi produce certamente una quantità proporzionale di menzogna e di errore, dubito in un certo senso anche delle verità che mi sembrano evidenti e certe.
Ma questo dubbio, lo rivolgo in pari misura a tutti i miei pensieri, a quelli in accordo come a quelli in disaccordo con l’insegnamento della Chiesa.
Io penso e conto fermamente di rimanere in questo atteggiamento fino alla morte.
Sono certa che questo linguaggio non racchiude nes­sun peccato. Pensando diversamente, commetterei un delitto contro la mia vocazione, che esige un’assoluta onestà intellettuale.
Non posso discernere alcuna causa umana o demoniaca di questo atteggiamento; tale atteggiamento infatti non può che produrre pene, sconforto morale e isolamento.
Soprattutto l’orgoglio non può esserne la causa, poiché non vi è nulla che possa lusingare l’orgoglio in una situazione in cui si è considerati agli occhi degli increduli un caso patologico, poiché si aderisce a dogmi assurdi senza la scusa di subire un influsso sociale, mentre si ispira ai cattolici quella benevolenza protettiva, un po’ sdegnosa, tipica dell’arrivato nei confronti di colui che è ancora in marcia.
Non vedo quindi nessuna ragione per cui debba respingere la sensazione che ho in me, che cioè io resto in questo atteggiamento per ubbidienza a Dio, e che se lo modificassi offenderei Dio, offenderei Cristo che ha detto: «Io sono la verità».
D’altra parte provo già da tempo un desiderio intenso e sempre crescente della comunione.
Se si considerano i sacramenti come un bene, se li considero pure io così, se li desidero e se me li rifiutano, senza alcuna colpa da parte mia, non può non esserci una grave ingiustizia in tutto ciò.
Se mi si concedesse il battesimo, pur sapendo che io persevero nell’atteggiamento suddetto, si spezzerebbe una routine di almeno diciassette secoli.
Se questa rottura è giusta e desiderabile, se oggi in particolare essa si presenta come urgente e vitale per la salvezza del cristianesimo (cosa che a me pare evidente), bisognerebbe allora per la Chiesa e per il mondo che essa avvenisse in modo vistoso e massiccio e non per iniziativa isolata di un prete che amministrasse un battesimo oscuro ed ignorato.
Per questo motivo e per altri analoghi io non ho mai rivolto finora ad un sacerdote la domanda formale del battesimo.
Non intendo farlo nemmeno ora.
Tuttavia, sento il bisogno, non astratto, ma pratico, reale, urgente, di sapere se, nel caso che lo chiedessi, mi sarebbe accordato o rifiutato.

[La Chiesa avrebbe un mezzo facile per procurarsi quel che sarebbe per lei e per l’umanità la salvezza.
Dovrebbe riconoscere che le definizioni dei concili non hanno significato se non in relazione all’ambiente storico.
Questo ambiente non può essere conosciuto dai non specialisti e spesso nemmeno dagli specialisti a causa della mancanza di documenti.
Quindi gli anatema sit fanno parte della storia; essi non hanno valore attualmente.
Di fatto, li si considera tali, perché non s’impone mai come condizione per il battesimo di un adulto la lettura del Manuale delle decisioni e dei simboli dei concili. Un catechismo non ne è l’equivalente, poiché esso non con­tiene tutto ciò che è tecnicamente «di stretta fede» e contiene altre cose che non lo sono.
È d’altra parte impossibile scoprire, interrogando dei sacerdoti, ciò che è e ciò che non è «di stretta fede».
Basterebbe allora illustrare ciò che fa parte più o meno della prassi, proclamando ufficialmente che una adesione di cuore ai misteri della Trinità, incarnazione, redenzione, eucaristia, e al carattere rivelato del nuovo Testamento è la sola condizione per accedere ai sacramenti.
In questo caso la fede cristiana, senza il pericolo di una tirannia esercitata dalla Chiesa sugli spiriti, potrebbe esser posta al centro di tutta la vita profana e di ogni attività che la compone, e tutto impregnare, assolutamente tutto, con la sua luce.
Unica via di salvezza per i miserabili uomini di oggi.]

sabato 12 febbraio 2011

Pugliamo l'Italia? In sanità meglio di NO

Periodo di chiusura di ospedali in Puglia. Sembra essere tornati indietro di 8 anni. Lo stesso si fece nel 2002 (centro-destra) in ossequio ad un accordo con il Governo: diminuzione posti letto (perchè costano) in cambio di ripiano dei debiti. Così avviene oggi: riduci ancora i posti letto e ti diamo 500 milioni che abbiamo tenuto fermi in attesa che tu (Regione) rispettassi gli accordi. Ovviamente la Regione Puglia (centro-sinistra) accusa il Governo (centro-destra) delle chiusure necessarie per non far perdere soldi alle dissanguate casse della sanità regionale. In realtà il quinquennio 2005-2010 (centro-sinistra) ha visto tutte le asl chiudere con disavanzi ogni anno. Assunzioni dilaganti perchè erano state bloccate fino al 2004, rinnovi contrattuali, aumento della spesa per la medicina generale e per la farmaceutica, le principali cause. Ma a fronte di tutto ciò la qualità dell'assistenza e l'offerta sanitaria in Puglia non è migliorata. Una prova? Le liste di attesa aumentate e la migrazione fuori regione dei pazienti costante. Perchè allora tanti soldi spesi in più? Per garantire una forma di reddito ad un'area cospicua della popolazione (40.000 dipendenti diretti e un indotto non facilmente quantificabile ma sempre a 5 zeri)?
In realtà la rivoluzione culturale non ha lambito la sanità pugliese. Si è gridato alla deospedalizzazione ma oggi non abbiamo nè la sanità fuori dagli ospedali nè ospedali di eccellenza. Il consumismo farmaceutico e radiologico non è stato contrastato e chi paga sono sempre gli stessi.

domenica 2 gennaio 2011

PUGLIESI MIGRANTI PER CURARSI

Salute » 29/12/2010

Gli ospedali brindisini ed il tifo da stadio. Di Maurizio Portaluri

La chiusura e gli spostamenti di posti letto ospedalieri nella provincia di Brindisi, ratificati di recente dalla Giunta Regionale e resi necessari per il deficit di gestione della sanità accumulato in questi anni, é stata una occasione persa per dare ai cittadini malati la possibilità di curarsi vicino al proprio domicilio con ritrovati all'altezza delle più recenti scoperte della medicina.
Vale la pena di ricordare che la nostra provincia perde su 700 milioni di costi della sua sanità (tra le più grandi aziende del territorio) ben 100 milioni per cure acquistate da nostri concittadini ammalati al di fuori della asl e della regione.
Per dare un'idea si tratta di una somma con cui si potrebbero acquistare 200 TAC o 100 risonanze magnetiche o 50 moderne macchine per radioterapia o decine di robot chirurgici o 100 pet-tac o pagare stipendi per più di 100 medici o 200 infermieri e figure sanitarie equivalenti. Scusate se è poco!

Invece leggo che, con modalità più consone al tifo da stadio, in questo comune o in quell'altro si festeggia qualche posto letto in più o si recrimina per un reparto spostato.
Si ringraziano politici "attenti" al territorio, si criticano politici "traditori" degli interessi comunali, come se un ospedale di 100 posti letto possa ancora chiamarsi ospedale.
Mi chiedo chi siano coloro che affiggono manifesti di ringraziamento. Non certo i cittadini che per curarsi con la moderna medicina devono pagare di tasca propria per le lunghe attese (altro che 1 ¤ a ricetta!) o sobbarcarsi viaggi e costi per curarsi lontano da casa.
Questi di certo non ringraziano. Ringraziano quelle poche decine di operatori che continueranno a lavorare vicino casa loro.

Questo modo di ragionare a cui i nostri rappresentanti politici, comunali e regionali, per l'ennesima volta non hanno saputo rinunciare, renderà l'unica struttura tecnologicamente attrezzata (ancora per poco se non si metterà mano , e subito, ad un ammodernamento tecnologico serio e ad una organizzazione orientata più al diritto alla salute dei malati che alle aspettative sindacali o di carriera degli operatori), incompleta e sottoutilizzata.
Dalla riorganizzazione approvata , infatti , risultano cancellati i reparti di cardiochirurgia, chirurgia toracica e gastroenterologia, con buona pace della programmazione sanitaria basata sull'epidemiologia, visto che malattie cardiovascolari, tumori al polmone e malattie del fegato sono ben rappresentate nella nostra provincia.
Ma soprattutto la permanenza di piccoli ospedali, non importa dove, comporterà la mancanza di personale per far funzionare le sale operatorie del Perrino 12 ore al giorno e più, o la TAC, la Risonanza Magnetica, la Pet Tac e la Radioterapia ben oltre l'attuale orario di servizio.
Ne avrebbero vantaggio i malati in attesa, quelli costretti ai viaggi della speranza, l'esperienza degli operatori ( sono migliori i risultati degli ospedali con le maggiori casistiche).
Agli operatori costretti a spostarsi dal loro comune di residenza rimborserei le spese di viaggio: converrebbe di certo anche alle casse del servizio sanitario.

Non vedo chi ringraziare per questa occasione mancata e non vedo chi debbano ringraziare i cittadini dei comuni con qualche posto letto in più nell'ospedale vicino casa: quando avranno bisogno di una di medicina attrezzata, esperta e prontamente disponibile, dovranno , come al solito, emigrare.