lunedì 21 febbraio 2011

DIRETTORI GENERALI SI NASCE


Il direttore generale di una ASL è una figura che oserei definire “parafulmine” nella dialettica tra i vari interessi in gioco nel servizio sanitario italiano. Nominato dalla giunta regionale per legge, ne dipende in maniera totale, nel senso che dovrebbe eseguirne le linee di indirizzo. In realtà è sovraccaricato di richieste politiche in gran parte tese a soddisfare esigenze individuali o di gruppo sponsorizzate da questo o quel politico o sindacato. Il suo potere, infatti, è totale, come un giudice monocratico. In realtà, posto alla testa di una struttura con non meno di 4000 dipendenti diretti ed un migliaio indiretti, non riesce assolutamente a controllare tutto sebbene risponda di tutto ciò che accade. Su questa sua forza/debolezza gioca molto il potere politico e sindacale. La sanitopoli pugliese ne ha decapitato qualcuno e la politica ne è uscita indenne, almeno stando all'esito delle ultime regionali. Che il controllo sia quasi impossibile lo dimostrano, ancora una volta, le recenti vicende giudiziarie dell'ospedale di Altamura, dove alcuni dirigenti amministrativi avrebbero fatto, secondo l'accusa, il bello ed il cattivo tempo pressoché indisturbati.
Ma la propaganda è propaganda. E così nel 2010 la giunta regionale, stravolgendo la legge nazionale sul reclutamento dei direttori generali che comunque rimane una operazione politica e non meritocratica, invita i quasi 400 iscritti negli elenchi regionali ad un esame al quale si presentano in 148. Di questi solo 33 però superano il test (scritto e orale) e vengono avviati ad un corso da supermanager. Il messaggio propagandistico è chiaro. Stiamo formando il meglio del management per governare le ASL. Guarda caso nei 33 ci sono tutti i 10 direttori generali in carica, compresi quelli che nonostante l'incremento delle assegnazioni finanziarie, hanno chiuso i bilanci con un disavanzo ancora maggiore degli anni precedenti (vedi i bilanci 2008 quando solo la ASL LE e BAT riducono il disavanzo). Ma tant'è!
La novità più sorprendente, per me ovviamente, è che in queste settimane è stato sbandierato con comunicati altisonanti il “practicum” che i 33 hanno iniziato nelle ASL pugliesi, quelle stesse che dovrebbero essere risanate. Un vero controsenso.
Premesso per l'ennesima volta che non ho partecipato all'esame suddetto perché non sono più, personalmente e politicamente, interessato a far il direttore generale, leggendo questa notizia mi sono ricordato che durante il mio breve mandato mi premurai di stipulare una convenzione gratuita con la ASL di Bologna dove inviare i dirigenti della ASL da me diretta ad imparare qualcosa di buono. Io stesso ricordo di aver visitato il Pronto Soccorso dell'ospedale di Bentivoglio (diretto da un medico tarantino) e di esserne rimasto affascinato. Eppoi un distretto di Bologna dove c'era la medicina generale e la specialistica più frequentemente richiesta (compresa l'ecografia) nonché la farmacia per la dispensazione diretta dei farmaci, tutte concentrate concentrate in uno stesso stabile a disposizione dei malati.
Cosa potranno imparare di più e di meglio gli aspiranti direttori generali girando per le ASL pugliesi?

lunedì 14 febbraio 2011

Simone Weil: ULTIME PAGINE



Credo in Dio, nella Trinità, nell’incarnazione, nella redenzione, nell’eucaristia, negli insegnamenti del Vangelo.
Ho detto che credo a queste verità, non che sottoscrivo a quanto afferma la Chiesa su di esse, affermandole come si affermano dei dati dell’esperienza o dei teoremi di geometria. Io vi aderisco grazie all’amore alla verità perfetta, inafferrabile, racchiusa in quei misteri e tento di aprire ad essa la mia anima per lasciar penetrare in me la luce.
Non riconosco alla Chiesa nessun diritto di limitare le operazioni dell’intelligenza o le illuminazioni dell’amore nell’ambito del pensiero.
Le riconosco invece la missione, come depositaria dei sacramenti e custode dei testi sacri, di formulare delle decisioni su certi punti essenziali, ma solo a titolo di indicazione per i fedeli.
Non le riconosco il diritto di imporre i commenti di cui ella circonda i misteri della fede come se fossero la verità; ancor meno le riconosco il diritto di usare la minaccia e il terrore esercitando, per imporre quella verità, il potere di privare i fedeli dei sacramenti.
Per me, nello sforzo di riflessione, un disaccordo apparente o reale con l’insegnamento della Chiesa è solo un motivo per sospendere per molto tempo il pensiero, un invito a spingere il più lontano possibile l’esame, l’attenzione e lo scrupolo, prima di affermare qualcosa. Ma è tutto.
Detto questo, io medito su ogni problema relativo allo studio comparato delle religioni, alla loro storia, alla verità racchiusa in ciascuna di esse, ai rapporti della religione con le forme profane della ricerca della verità e con l’insieme della vita profana, al significato misterioso dei testi e delle tradizioni del cristianesimo; medito su tutto questo senza nessuna ambizione di un accordo o di un disaccordo possibile con l’insegnamento dogmatico della Chiesa.
Sapendomi fallibile, sapendo che tutto il male che ho la pigrizia di lasciar vivere nel mio animo, vi produce certamente una quantità proporzionale di menzogna e di errore, dubito in un certo senso anche delle verità che mi sembrano evidenti e certe.
Ma questo dubbio, lo rivolgo in pari misura a tutti i miei pensieri, a quelli in accordo come a quelli in disaccordo con l’insegnamento della Chiesa.
Io penso e conto fermamente di rimanere in questo atteggiamento fino alla morte.
Sono certa che questo linguaggio non racchiude nes­sun peccato. Pensando diversamente, commetterei un delitto contro la mia vocazione, che esige un’assoluta onestà intellettuale.
Non posso discernere alcuna causa umana o demoniaca di questo atteggiamento; tale atteggiamento infatti non può che produrre pene, sconforto morale e isolamento.
Soprattutto l’orgoglio non può esserne la causa, poiché non vi è nulla che possa lusingare l’orgoglio in una situazione in cui si è considerati agli occhi degli increduli un caso patologico, poiché si aderisce a dogmi assurdi senza la scusa di subire un influsso sociale, mentre si ispira ai cattolici quella benevolenza protettiva, un po’ sdegnosa, tipica dell’arrivato nei confronti di colui che è ancora in marcia.
Non vedo quindi nessuna ragione per cui debba respingere la sensazione che ho in me, che cioè io resto in questo atteggiamento per ubbidienza a Dio, e che se lo modificassi offenderei Dio, offenderei Cristo che ha detto: «Io sono la verità».
D’altra parte provo già da tempo un desiderio intenso e sempre crescente della comunione.
Se si considerano i sacramenti come un bene, se li considero pure io così, se li desidero e se me li rifiutano, senza alcuna colpa da parte mia, non può non esserci una grave ingiustizia in tutto ciò.
Se mi si concedesse il battesimo, pur sapendo che io persevero nell’atteggiamento suddetto, si spezzerebbe una routine di almeno diciassette secoli.
Se questa rottura è giusta e desiderabile, se oggi in particolare essa si presenta come urgente e vitale per la salvezza del cristianesimo (cosa che a me pare evidente), bisognerebbe allora per la Chiesa e per il mondo che essa avvenisse in modo vistoso e massiccio e non per iniziativa isolata di un prete che amministrasse un battesimo oscuro ed ignorato.
Per questo motivo e per altri analoghi io non ho mai rivolto finora ad un sacerdote la domanda formale del battesimo.
Non intendo farlo nemmeno ora.
Tuttavia, sento il bisogno, non astratto, ma pratico, reale, urgente, di sapere se, nel caso che lo chiedessi, mi sarebbe accordato o rifiutato.

[La Chiesa avrebbe un mezzo facile per procurarsi quel che sarebbe per lei e per l’umanità la salvezza.
Dovrebbe riconoscere che le definizioni dei concili non hanno significato se non in relazione all’ambiente storico.
Questo ambiente non può essere conosciuto dai non specialisti e spesso nemmeno dagli specialisti a causa della mancanza di documenti.
Quindi gli anatema sit fanno parte della storia; essi non hanno valore attualmente.
Di fatto, li si considera tali, perché non s’impone mai come condizione per il battesimo di un adulto la lettura del Manuale delle decisioni e dei simboli dei concili. Un catechismo non ne è l’equivalente, poiché esso non con­tiene tutto ciò che è tecnicamente «di stretta fede» e contiene altre cose che non lo sono.
È d’altra parte impossibile scoprire, interrogando dei sacerdoti, ciò che è e ciò che non è «di stretta fede».
Basterebbe allora illustrare ciò che fa parte più o meno della prassi, proclamando ufficialmente che una adesione di cuore ai misteri della Trinità, incarnazione, redenzione, eucaristia, e al carattere rivelato del nuovo Testamento è la sola condizione per accedere ai sacramenti.
In questo caso la fede cristiana, senza il pericolo di una tirannia esercitata dalla Chiesa sugli spiriti, potrebbe esser posta al centro di tutta la vita profana e di ogni attività che la compone, e tutto impregnare, assolutamente tutto, con la sua luce.
Unica via di salvezza per i miserabili uomini di oggi.]

sabato 12 febbraio 2011

Pugliamo l'Italia? In sanità meglio di NO

Periodo di chiusura di ospedali in Puglia. Sembra essere tornati indietro di 8 anni. Lo stesso si fece nel 2002 (centro-destra) in ossequio ad un accordo con il Governo: diminuzione posti letto (perchè costano) in cambio di ripiano dei debiti. Così avviene oggi: riduci ancora i posti letto e ti diamo 500 milioni che abbiamo tenuto fermi in attesa che tu (Regione) rispettassi gli accordi. Ovviamente la Regione Puglia (centro-sinistra) accusa il Governo (centro-destra) delle chiusure necessarie per non far perdere soldi alle dissanguate casse della sanità regionale. In realtà il quinquennio 2005-2010 (centro-sinistra) ha visto tutte le asl chiudere con disavanzi ogni anno. Assunzioni dilaganti perchè erano state bloccate fino al 2004, rinnovi contrattuali, aumento della spesa per la medicina generale e per la farmaceutica, le principali cause. Ma a fronte di tutto ciò la qualità dell'assistenza e l'offerta sanitaria in Puglia non è migliorata. Una prova? Le liste di attesa aumentate e la migrazione fuori regione dei pazienti costante. Perchè allora tanti soldi spesi in più? Per garantire una forma di reddito ad un'area cospicua della popolazione (40.000 dipendenti diretti e un indotto non facilmente quantificabile ma sempre a 5 zeri)?
In realtà la rivoluzione culturale non ha lambito la sanità pugliese. Si è gridato alla deospedalizzazione ma oggi non abbiamo nè la sanità fuori dagli ospedali nè ospedali di eccellenza. Il consumismo farmaceutico e radiologico non è stato contrastato e chi paga sono sempre gli stessi.