venerdì 25 dicembre 2009

PROTONTERAPIA: SEMPRE ULTIMI AL SUD?


Il 3 dicembre scorso il direttore dell’Agenzia provinciale per la protonterapia di Trento , il prof Renzo Leonardi ha annunciato: “Parte con oggi la realizzazione del centro di Protonterapia oncologica in Trentino. Nel palazzo della Provincia autonoma di Trento è stato firmato stamani il contratto per la realizzazione della struttura, nell’ambito di uno schema innovativo di partenariato pubblico-privato”.
La Provincia Autonoma di Trento ha istituito l’Agenzia per la Protonterapia oncologica sin dal 2004 e in questi anni ha procurato di individuare le aziende che costruiranno l’impianto. “Fra quattro anni, quindi al collaudo, la Provincia verserà una cifra di circa 80 milioni, cifra comprensiva dei costi di finanziamento e delle spese finanziarie delle società” – aggiunge il direttore dell’Agenzia -. “La rata annuale per spese di manutenzione e di operatività che la Provincia verserà dall'entrata in funzionamento della struttura e per 15 anni è calcolata essere di circa 5,9 milioni massimi.”
L’impianto sarà realizzato da un’azienda belga e potrà trattare a regime 1000 pazienti all’anno. Molti di più di quanti ne proverrebbero dal solo Trentino. È chiaro che la regione Trentino si pone come polo di attrazione per una futura migrazione sanitaria.
Nel 2010 entrerà in funzione anche il centro di terapia con protoni e ioni carbonio di Pavia, anche questo frutto di una sinergia pubblico privato. Il centro lombardo è costato più di 200 milioni di euro e attrarrà pazienti da tutta Italia. I protoni e gli ioni sono utilizzati nella radioterapia dei tumori in pochi centri altamente tecnologici del Giappone, degli USA e dell’Europa centro settentrionale.
Il vantaggio per gli ammalati sarà costituito soprattutto dalla possibilità di concentrare la dose di radiazioni nel tumore con un risparmio quasi totale dei tessuti sani. E ciò comporterà che al tumore si potranno erogare dosi più elevate, con maggiore possibilità di distruggerlo, ed ai tessuti sani dosi irrisorie senza più le complicanze immediate e tardive della radioterapia con fotoni ed elettroni oggi disponibile.
Può la Puglia (ed il Sud) non rimanere al palo in tema di innovazione tecnologica e rompere la tradizione che la vede tributaria di malati e di intelligenze verso le regioni del Nord nel campo delle cure più avanzate?
A fine novembre scorso è stato presentato un progetto industriale per la realizzazione di un centro di protonterapia nella nostra regione. La Itel Telecomunicazioni di Ruvo di Puglia e la ADAM di Ginevra sono pronte a realizzare un acceleratore di protoni per la cura dei tumori. La proposta è stata avanzata alla Regione Puglia e attende di essere formalizzata.
Si tratta di un progetto italiano che potrà essere realizzato a costi molto più contenuti rispetto a quelli finora necessari grazie all’introduzione di particolari innovazioni sul sistema di accelerazione e di movimentazione del paziente. Ma soprattutto la realizzazione in Puglia di un centro di protonterapia farebbe risparmiare nei prossimi anni alla sanità regionale i costi per le cure dei pugliesi nei centri di Pavia e Trento, che avranno sicuramente basato parte dei loro piani economici anche sul prevedibile afflusso dei nostri ammalati.
Presto i vantaggi in termini di maggiori successi e minori complicanze delle cure con protoni giungeranno a conoscenza, grazie anche alla “rete”, di tanti ammalati che pretenderanno, giustamente, le cure migliori. Ma i vantaggi di un centro di protonterapia in Puglia non sarebbero rappresentati solo dalla miglior qualità delle cure e dai maggiori risparmi sulla mobilità passiva. Si richiederanno infatti nella fase di progettazione, costruzione, gestione e sviluppo del nuovo Centro le competenze di ingegneri, fisici, tecnologi, economisti, statistici, sociologi, biologi, medici, farmacologi; saranno necessarie interazioni con le Università, gli enti pubblici di ricerca come l’Enea ed il Cnr, nonchè le aziende private già presenti sul territorio.
La Puglia sarebbe meta di pazienti bisognosi di questa speciale terapia e dovrebbe curare l’accoglienza delle loro famiglie. Un’ occasione da non perdere da molti punti di vista, “altrimenti – come dichiarò il Presidente di Itel, Leonardo Diaferia – la Spagna ci aspetta a braccia aperte”.

Maurizio Portaluri

Nella foto l'Assessore alla Sanità della Puglia, prof Tommaso Fiore, mentre ascolta gli interventi al convegno di presentazione del progetto di un acceleratore di protoni presso la Itel di Ruvo di Puglia il 21 novembre 2009

sabato 5 dicembre 2009

LA CONTRACCEZIONE DIVENTA “BIO”: ARRIVA IN ITALIA LA PRIMA PILLOLA NATURALE



La Società Italiana dei Medici di Medicina Generale informa che da Settembre 2009 è disponibile anche in Italia la prima pillola disegnata intorno alla donna.
Naturale, perché rilascia l’estradiolo, lo stesso estrogeno prodotto dal corpo femminile. “Bio” perché, dopo mezzo secolo di ricerche, si è sostituito il derivato sintetico, l’unico utilizzato finora, con una sostanza esattamente identica a quella rilasciata normalmente dall’organismo.
Si tratta di una pillola che apre nuovi orizzonti per tutte le donne in età fertile.

Il buon controllo del ciclo mestruale, abbinato ad un’elevata sicurezza contraccettiva, ad un’alta tollerabilità e al ridottissimo impatto metabolico, la rendono infatti una valida scelta a tutte le età.
Agisce con un mix a dosaggio flessibile di estradiolo valerato e dienogest, un progestinico già ampiamente impiegato con successo per il suo potente effetto sull’endometrio.
Ogni confezione è composta da 28 compresse: 26 a base dei due ormoni, variamente combinati, più due placebo, così da assicurare un’assunzione continuativa e ridurre le dimenticanze.

Questa pillola si presenta quindi come una nuova opzione anticoncezionale che risponde alle perplessità di chi, oltre l’80% delle italiane, è tuttora restio verso la pillola.
Sono proprio la variabilità del dosaggio e la combinazione con il dienogest ad aver permesso a questa nuova pillola di riuscire dove tutti i precedenti tentativi avevano fallito.
Fino ad oggi infatti, utilizzare l’estradiolo, l’ormone che il corpo riconosce come proprio, era risultato impossibile poiché non assicurava un sufficiente controllo del ciclo.

Questa nuova pillola rappresenta il capostipite di una nuova classe di estroprogestinici per via orale, con potenzialità del tutto peculiari.
La protezione da gravidanze indesiderate è garantita e pari a quella delle altre pillole oggi in commercio.

I principali vantaggi extra-contraccettivi riguardano invece la migliore stabilità ormonale grazie al minore intervallo senza ormoni (solo 2 giorni invece dei 7 delle pillole “convenzionali”), il controllo del ciclo in particolare in caso di mestruazioni abbondanti, prolungate o frequenti - con un ridotto numero di giorni di sanguinamento e flussi più brevi e più leggeri - e un minor impatto metabolico, proprio perché l’estrogeno utilizzato è quello che il corpo femminile conosce da millenni.


domenica 25 ottobre 2009

I SOLDI DEL CARBONE AI CITTADINI: SAVONA CHIAMA BRINDISI E CIVITAVECCHIA


Alle 21 di venerdì 23 ottobre il teatro Chiabrera di Savona, inaugurato nel 1853, è quasi pieno in ogno ordine di posti. A convocare la cittadinanza è un'associazione ONLUS (unitiperlasalute di Vado Ligure, vedi il suo blog) senza appartenenze politiche. Oltre me c'è il dott. Ghirga, pediatra di Civitavecchia, ed il dott. Trucco, presidente dell'Ordine dei Medici di Savona.
Comincio io con lo studio di mortalità dello spagnolo Garcia-Perez che dimostra come intorno alle centrali a carbone si muore di più di tumori al polmone, al laringe ed alla vescica. Continuo con lo studio del californiano William Grant sull'aumento di decessi del 6% intorno alle fonti di inquinamento. Poi illustro gli studi con gli effetti sui neonati da madri esposte all'inquinamento da carbone nei primi due mesi di gestazione: basso peso alla nascita, minore lunghezza. E ancora con gli studi sul sangue del cordone ombelicale dei neonati intorno alle centrali al carbone, con una elevata quantità di addotti DNA-IPA (Idrocarburi policiclici aromatici cioè cancerogeni) presagio di maggior rischio di tumori nell'età adulta. Lo studio dei ricercatori brindisini del CNR sull'aumento di decessi e ricoveri per malattie cardiorespiratorie nei giorni seguenti l'innalzamento degli inquinanti nell'aria. Poi parlo del mercurio che viene fuori dalle centrali a carbone. Illustro gli studi in Serbia sulla radioattività intorno alle centrali. I 700 presenti seguono come se stessero a vedere il film dell'anno.

Poi parla Ghirga con gli studi sui ritardi nello sviluppo del sistema respiratorio dei bambini in aree inquinate. Spiega che il 50% dell'inquinamento dipende dalle emissioni industriali. Chiarisce come mai i valori dichiarati nel registro INES dalle industrie non corrispondono ai volumi di combustibile bruciati e di acqua emessa da loro stessi dichiarati. Come si perda un punto di Quoziente Intellettivo nei bambini in aree inquinate. Utilizzando un modello proposto dalla Comunità Europea, calcola il valore dei danni provenienti ad un territorio che ospita una centrale a carbone. Per 20 anni di esercizio ci sono danni per 200 milioni per i decessi e di 10o milioni per le malattie. Infine la proposta. Più malattie significa più bisogno di cure. Con i tempi di attesa del SSN si rischia di non curarsi. I soldi dei gestori non agli Enti locali ma ai singoli cittadini per fare un'assicurazione di malattia. La California non costruisce più centrali a carbone e non compra energia elettrica da centrali a carbone

E' la volta del Presidente dell'Ordine dei Medici che non si spiega come sia possibile assumere decisioni su impianti così impattanti sulla salute pubblica senza sentire i medici.

Uniti per la salute sostiene che 1,5 milioni di tonnellate di carbone bastano a fare una strada che va e torna da Vado Ligure a Liverpool. Mi chiedo dove si andrebbe con i nostri 8 milioni. Non esiste al mondo una concentrazione di quasi 5000 MW come quella di Brindisi.

Forse è tempo di mettere in chiaro molte questioni, altro che convenzioni. Mi dico tornando a Brindisi dall'assemblea di Savona.

domenica 11 ottobre 2009

BRUCIARE FA SEMPRE MALE



I brindisini se ne saranno sicuramente accorti che in questi giorni di assenza di vento l’aria in città era irrespirabile. Giungendo a Brindisi da qualsiasi direzione si notava una cappa grigiastra sulla città ed i focolai di combustione, quelli industriali e quelli agricoli, emettevano colonne di fumo che ristagnavano nella parte bassa dell’atmosfera. Fortunatamente gli impianti di riscaldamento ed i caminetti non erano ancora accesi e la centrale a carbone di Brindisi Nord era ferma. Storicamente la combustione del carbone è stata associata a sintomi respiratori e mortalità in relazione a brevi periodi di elevate emissioni. Il più famoso di questi episodi accadde a Londra nel 1952 quando, per il verificarsi di un fenomeno climatico noto come inversione termica, si registrò un sorprendente aumento dei decessi. Nell’inversione termica accade che l’aria degli strati inferiori dell’atmosfera, la quale normalmente dal suolo sale verso l’alto per effetto del suo riscaldamento a terra, rimane invece al suolo. Viene così impedito ogni rimescolamento verticale e le polveri sottili e gli inquinanti persistono vicino al terreno. A Londra il fenomeno fu attribuito alla persistenza a terra degli inquinanti prodotti dalla combustione di carbone. Molti altri episodi simili sono descritti nella storia come a Meuse Valley in Belgio nel 1930, a Donora in Pennsylvaniain e negli anni ’70 e ’80 a Philadelphia, Steubenville, Santa Clara, St. Louis, Utah valley, Detroit, eastern Tennessee. Per verificare se questa associazione tra aumento del particolato in aria ed i decessi non fosse casuale, Joel Schwartz , Professore all’Harvard University di Boston, ha esaminato a Philadelfia i decessi dei giorni con massimo inquinamento con quelli avvenuti nei giorni in cui si è registrato il minimo inquinamento. Nei giorni con elevata concentrazione di particolato il rischio di morte per la popolazione esposta aumentava dell’8%. I decessi per broncopatie croniche aumentavano del 25% e quelle per polmonite del 13%. In aumento anche i decessi per infarto miocardico ed ictus. In giornate come queste è meglio chiudersi in casa o allontanarsi dai centri urbani, soprattutto per cardiopatici e broncopneumopatici. Tutti i processi di combustione contribuiscono ad aumentare il rischio di decesso a breve termine. Ovviamente anche il traffico urbano, i termovalorizzatori e le cantrali a biomasse. La quantità di sostanze pericolose a breve e a lungo termine che fuoriescono dai processi di combustione è notevole ed è molto difficile testare singolarmente ogni agente inquinante. Per fare ciò, i tossicologi, gli esperti che si occupano degli effetti sull’uomo delle sostanze chimiche, mettono a contatto con cavie misture estratte dalle diverse emissioni. Oppure, dosano nel sangue, nelle urine e nei tessuti delle persone esposte, sostanze che esprimono il passaggio dell’inquinante nell’organismo umano. Un po’ come è avvenuto per la diossina a Taranto, che oltre ad essere trovata in eccesso nel formaggio prodotto col latte degli ovini pascolati nei pressi dell’acciaieria, è stata rinvenuta in elevate quantità anche nell’uomo. Nel caso di Brindisi sarebbe possibile testare la presenza nell’organismo umano di idrocarburi policiclici aromatici e loro derivati nonchè di altre sostanze “spia” del contatto con inquinanti, confrontandola con i valori di esposizione agli stessi. Dopo lo studio di Maria Serinelli ed Emilio Gianicolo, ricercatori del CNR, sui decessi a Brindisi in rapporto ai valori giornalieri degli inquinanti, quello della ricerca di questi ultimi nell’organismo delle persone più vicine alle fonti di inquinamento è il passo successivo assolutamente necessario. Recentemente la Regione Puglia ha finanziato un progetto triennale, promosso dall’Ares e dalla ASL di Brindisi, destinato alla realizzazione di studi mirati a valutare il rischio correlato all’esposizione di inquinanti ambientali nella provincia di Brindisi in relazione a presenze industriali ad alto rischio di inquinamento. Ma oltre le ricerche e gli studi sarebbe necessario mettersi intorno ad un tavolo per un programma di realistica riduzione delle emissioni da combustione, da qualunque fonte provengano. Sarebbe un’azione politica ad elevato impatto sanitario.

venerdì 21 agosto 2009

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE ON. NICHI VENDOLA SUI MORTI ED I MALATI NEI PETROLCHIMICI PUGLIESI




Egregio Presidente

il 1° dicembre scorso alcune associazioni impegnate nella tutela della
salute dentro e fuori i luoghi di lavoro (Salute Pubblica e Medicina
Democratica) hanno indirizzato anche a Lei, insieme ad una lunga serie
di autorità con competenza in materia sanitaria nella nostra regione
(l’Assessore alle Politiche della Salute,i Sindaci di Brindisi e
Manfredonia, i Presidenti delle Province di Brindisi e Foggia ed i
relativi Direttori Generali delle ASL Provinciali, il Direttore
dell’Arpa, , i Presidenti degli Ordini dei Medici), una articolata
lettera perchè si richiedesse, sulla base di recenti evidenze
scientifiche, all'Istituto Superiore di Sanità di rianalizzare gli
studi di mortalità sui lavoratori dei petrolchimici di Brindisi e
Manfredonia, dai quali si sono ricavate sinora informazioni
erroneamente rassicuranti. La rianalisi degli studi sarebbe di grande
interesse per quei lavoratori esposti ed ancora in salute che
potrebbero beneficiare di misure di prevenzione.
A questa lettera l’unico ad aver dato risposta è stato il Direttore
Generale dell’ARPA, il Prof Giorgio Assennato, il quale ha espresso la
propria disponibilità a sostenere l'Assessorato alle Politiche della
Salute e le ASL di Brindisi e Foggia nella rianalisi degli studi sui
lavoratori dei petrolchimici di Brindisi e Manfredonia condividendo le
ragioni della richiesta.

Per maggior chiarezza mi sembra utile ricordarLe che le due
associazioni nel dicembre scorso avevano denunciato importanti
inesattezze metodologiche negli studi condotti in sede giudiziaria
sulle popolazioni lavorative di Brindisi e Manfredonia, al punto che i
lavoratori apparivano in condizioni di salute migliore della
popolazione generale. In realtà il confronto non andava eseguito con
la popolazione generale ma con gruppi di lavoratori meno esposti o
niente affatto esposti nello stesso stabilimento. Di questo si è già
accorta la Procura della Repubblica di Venezia che ha disposto la
rianalisi dello studio di Porto Marghera rilevando nei lavoratori
esposti 80 decessi in più per tutte le cause rispetto alle attese.
Purtroppo le decine di migliaia di famiglie che hanno negli ultimi
decenni avuto un congiunto a lavoro nei due petrolchimici pugliesi,
non solo hanno visto assolti o prosciolti i responsabili degli
impianti dalle accuse di
aver provocato le malattie ed i decessi dei loro cari, ma non
hanno neppure potuto giovarsi delle competenze messe a disposizione
dell’ARPA Puglia (pensi alle attese in campo risarcitorio ed
assicurativo) perché nessuna delle Autorità interpellate dalle
associazioni in questione ha finora richiesto all’Istituto Superiore
di Sanità il data-base delle due coorti esaminate a Brindisi e
Manfredonia.

Le scrivo pertanto per sollecitare una Sua concreta iniziativa in
risposta alla proposta delle associazioni ed alle attese delle
famiglie dei lavoratori dei petrolchimici pugliesi, attraverso la
richiesta delle basi di dati all’Istituto Superiore di Sanità in modo
che possano essere rianalizzate dall’ARPA Puglia e dalle Unità di
Epidemiologia delle ASL interessate secondo i criteri accennati.

Certo di un suo positivo riscontro, porgo distinti saluti


sabato 15 agosto 2009

CHI DIFENDERA’ IL MALATO DALLA MEDICINA?


L’abbondante cronaca giudiziaria di questi mesi estivi vede la Puglia teatro di numerose vicende di corruzione politica e gestionale interessanti il vasto campo della sanità e dei rifiuti. Nei confronti delle indiscrezioni emerse, attraverso la pubblicazione di stralci di intercettazioni e delle relative ricostruzioni di intrecci politico affaristici, si sono levate veementi le difese degli interessati o di chi, a diverso titolo, si è sentito o è stato mediaticamente e politicamente coinvolto nonché le difese o gli attacchi dei commentatori.
Dal dibattito sviluppatosi intorno alle tristi vicende di cui le indagini si sono interessate non è sinora emersa una difesa altrettanto energica dell’interesse maggiormente colpito dai fatti descritti dagli organi di informazione e cioè quello dei cittadini ed in particolare quello dei cittadini ammalati. Si sa, quelli degli ammalati sono, al di là della retorica dei paladini di turno, interessi molto deboli a confronto di quelli delle professioni sanitarie, dell’industria biomedica e della classe politica. L’ordine di elencazione non è casuale ma corrisponde a quella che riteniamo la rispettiva capacità di condizionamento da parte dei tre poteri sul servizio sanitario pubblico, almeno su quel che rimane di veramente pubblico di questo patrimonio comune. Ma proprio tale debolezza ci preoccupa giacché ci pare anche esaurita la stagione dei movimenti di tutela dei diritti del malato, i quali, assorbiti come sono stati in ben strutturati e legiferati organismi istituzionali, hanno ridotto il loro ruolo di critica ad aspetti logistico-organizzativi che per nulla intaccano il nucleo storico del problema della tutela della salute, il quale è un nucleo tutto esprimibile in rapporti di potere tra gli attori del sistema sanitario e che, per semplicità e per chiarezza, possiamo indicare anche nel rapporto tra la medicina ed il potere.
Per non rimanere nel pur sempre necessario carattere generico delle analisi, cercheremo di entrare nel merito facendo riferimento a fatti concreti come le “protesi fetenti” che abbiamo appreso essere state impiantate in inconsapevoli pazienti chissà per quanto tempo ed in quale quantità. Fenomeno portato a conoscenza dell’opinione pubblica pugliese in queste settimane ma scoperto anche in Lombardia lo scorso anno in una struttura privata, peraltro appartenente ad un gruppo sanitario religioso che si appresta ad operare anche in Terra d’Otranto. A dimostrazione che la difesa del malato da suprusi e raggiri non è solo questione di gestione pubblica o privata né crediamo che sia una questione imputabile solo a comportamenti criminali di singoli. Se la medicina risponde ai comandi dell’industria e la politica non sa piegarla agli interessi della gente che dovrebbe rappresentare, per l’ammalato non c’è scampo, subirà interventi sanitari dettati da interessi a lui estranei. Né risulteranno risolutivi provvedimenti di contenimento di spesa quali soli sono stati sinora proposti dagli addetti ai lavori.
Lo stesso ragionamento vale per la prevenzione, quella vera, quella cioè che previene le malattie. Se la medicina sarà sospinta dai finanziamenti industriali solo a curare ed il potere politico non finanzierà la ricerca per prevenire, avremo sempre più ammalati e sempre più cure, non importa se di incerta efficacia.
Si pensi inoltre all’esplosione del ricorso alla diagnostica radiologica con radiazioni ionizzanti pur in presenza di una altrettanto efficace diagnostica non ionizzante e, quindi, non cancerogena. Il cittadino avrebbe diritto ad una migliore informazione. Invece anche ai sani si propongono pacchetti diagnostici di dubbia utilità e di probabile nocività nell’indifferenza o nell’ignoranza delle autorità sanitarie.
E allora chi aiuterà il povero ammalato? Esiste una qualche possibilità che la scienza medica si metta ad esclusivo servizio dei suoi interessi come quello di non ammalarsi per cause esogene rimuovibili e di ricevere solo le cure assolutamente necessarie ed efficaci? Risulta evidente il conflitto tra l’interesse del cittadino e della collettività e quello della medicina, nella sua prevalente e storica rappresentazione. Né si può ritenere che i rapporti di forza potranno essere capovolti all’interno di un incontro individuale che persino gli arredi di ambulatori e reparti significano nella sua cruda dimensione: il malato disteso, il medico in piedi. Dovrebbe essere la politica a piegare la medicina al servizio della collettività ma di questo non vediamo traccia nè nei discorsi nè nei comportamenti attuali.
Dovranno, in definitiva, i cittadini stessi assumere questo irrisolto problema politico e difendersi dalla medicina e non banalmente dalla “malamedicina”, scorciatoia mediatica quest’ultima per nascondere i sopraccennati conflitti di interesse. I rapporti di forza attuali nella società non fanno sperare in una riemersione degli interessi dei cittadini più indifesi nei confronti della medicina. È possibile tuttavia che questo problema trovi in un prossimo futuro la sua sede naturale nei movimenti spontanei che, pur senza i riflettori dell’informazione, stanno seriamente operando al Sud, come anche in Puglia, sui temi delle discariche, della invasione eolico-solare, delle centrali a biomasse, del carbone e degli inquinanti ambientali, a condizione che ne comprendano la strettissima affinità con le loro lotte.

domenica 28 giugno 2009

SENZA INCENTIVI NESSUNA EFFICIENZA


Alla fine del corso di medicina palliativa che abbiamo organizzato a Brindisi, chiacchieravo con Giovanni Elia, il medico italiano, esperto in cure palliative, che dirige un Hospice a San Diego (USA) e che ha animato le due giornate di studio da noi intitolate per l'appunto "italo-americane". Dai medici americani vogliamo sempre sapere quanto guadagnano e con mia sorpresa Giovanni mi ha detto: "la mia soddisfazione proviene dai pazienti che vedo: o ne vedo 2 o ne vedo 100 il mio guadagno non cambia". Sembrerebbe un'eccezione nel panorama americano, ma non è proprio così. Poi, raccontando le mie difficoltà ad ottenere risposte veloci dal supporto amministrativo della mia ASL (personale, apparecchiature, riparazioni, piccole forniture ecc), mi ha detto."Da noi gli amministrativi guadagno sui risparmi e sulla efficienza che riescono a realizzare. Se non c'è un incentivo, è difficile ottenere efficienza". Quindi, medici ben pagati che non hanno bisogno di ricorrere alla libera professione per raggiungere un reddito di tutta tranquillità, impiegati stimolati a far funzionare la struttura. Ai medici basterebbe anche dare riconoscimenti di altro tipo: possibilità di effettuare visite di formazione in centri specilizzati una volta l'anno, libri e riviste per aggiornarsi. Giovanni può stare fuori dalla sua struttura per due mesi all'anno per finalità di aggiornamento. Quello che Giovanni mi ha anche detto e che devono sapere i miei lettori, è che il suo contratto è comunque a tempo determinato e che, se la struttura in cui opera non raggiunge gli obiettivi economici ed assistenziali, alla scadenza non gli verrà rinnovato.
Le cronache di questi giorni ci dicono invece che in Italia la politica che governa la sanità ed il management dalla stessa espresso non si curano affatto del raggiungimento di obiettivi assistenziali ed economici. I medici che vogliono ben operare non hanno nessun incentivo e riconoscimento, per questo capita che le strutture a loro affidate non funzionino e a questo non sembra esserci alcun rimedio. I sindacati chiedono aumenti ed incentivi a pioggia, per chi lavora e per chi non lavora. Tutto questo genera sprechi ai danni delle tasche dei cittadini. L'esperienza pugliese ha dimostrato che i metodi di governo sono sempre gli stessi chiunque giunga al potere. Per questo forse alle prossime lezioni servirebbero dei partiti tematici. Me ne vengono in mente due: "Per una buona sanità" e "contro discariche e inceneritori". Naturalmente non sarò candidato, ho troppi pazienti da vedere per avere anche il tempo di fare politica.

venerdì 26 giugno 2009

A VOLTE RITORNANO


Passata la buriana elettorale alla quale ho partecipato da semplice elettore, posso riprendere i miei commenti raccontando qualche storia ai miei dieci lettori. Purtroppo racconto quasi sempre storie che mi capita di vivere in ragione del mio lavoro, ma come si fa, si racconta quel che si vive. Ieri sono stato ad Andria, una città importante della Puglia, a 150 Km dalla mia. Un'associazione ONLUS nata per ricordare una giovane insegnante morta lo scorso anno per un rarissimo tumore alla mammella, aveva indetto un concorso per la ricerca scientifica su questo tipo di cancro. Avevo risposto al bando e non senza sorpresa mi sono ritrovato tra i vincitori. Ieri si svolgeva la cerimonia di consegna della borsa di studio. Per me è stato un ritorno in quella città. Infatti dal 2005 al 2007 vi ho trascorso un periodo lavorativo non come medico ma come direttore generale della neonata asl della sesta provincia pugliese, la BAT (Barletta Andria Trani). Tra il folto pubblico c'erano molte persone con cui avevo lavorato in quei due anni e la loro presenza mi ha indubbiamente fatto molto piacere. Ho lasciato quell'incarico volontariamente perchè mi sembrava che gli sforzi fatti per promuovere il servizio sanitario pubblico non fossero condivisi dai miei superiori che mi avevano nominato. Comunque quella esperienza ho raccontato nel libro "La Sanità Malata" edito da Glocaleditrice di Lecce a dicembre 2008. Per chi fosse ancora interessato a cambiare la nostra sanità.

sabato 9 maggio 2009

LO ZIO DI LUCIA O DEGLI ERRORI IN MEDICINA


Fonti attendibili riportano che ogni giorno in Italia 400 persone vengono ricoverate in ospedale per malattie causate dai farmaci. In gergo si chiamano effetti collaterali ma in realtà sono vere e proprie malattie causate dai medicinali assunti per curarne altre o più spesso per prevenirle. Se 400 ogni giorno sono le persone che si ricoverano perché i sintomi ed i segni delle loro malattie da farmaci sono diventati così eclatanti da non poter essere gestiti senza il ricorso ad una struttura sanitaria, non saprei dire a quanti multipli di 400 ammonti il numero di coloro che patiscono delle stesse conseguenze in forma più lieve ma altrettanto inattesa e contrariante. Già, perché uno dalla medicina si aspetterebbe solo salute e non anche nuova malattia. Negli anni ’70 un sociologo di origine austriaca (ma assolutamente apolide), Ivan Illich, coniò un termine particolare per questo fenomeno della medicina moderna: iatrogenesi, che sta per generazione (di malattia) da parte del medico o della medicina. Illich attribuiva il fenomeno alla progressiva espropriazione dell’individuo e della sua comunità della capacità di guarire con il conseguente trasferimento in una istituzione esterna di questo potere. Se una critica così radicale alla istituzione sanitaria non troverebbe oggi, come allora, molti convinti seguaci, è invece tangibile la perdita di autogestione prodotta dalla moderna medicina e dalla pressione culturale del complesso mediatico-bio -industriale nella nostra società. Basti pensare al frequente riscontro di persone in perfetto benessere che chiedono al loro medico di eseguire esami diagnostici per sapere se stanno davvero bene.
Le malattie da farmaci non sono dovute solo alle proprietà del singolo medicinale, ma spesso alla interazione con altri farmaci oppure ad errato dosaggio. Lo zio di una mia amica, ricoverato in un ospedale di eccellenza della nostra regione per una frattura ad una vertebra causata da una caduta accidentale, è morto per una emorragia interna dovuta molto probabilmente al fatto che, anziché ridurre la terapia anticoagulante che eseguiva per una cardiopatia, se ne è aggiunta dell’altra provocandone il decesso. Che le cose si stessero mettendo male si poteva capire un po’ prima di quando si è inutilmente capito, se solo il medico di reparto avesse compreso il significato dei risultati di alcuni esami di sangue senza attendere l’allerta lanciato dal laboratorio. Per correre ai ripari la medicina ha creato una nuova disciplina, il risk management, cioè la gestione del rischio, che studiando gli errori cerca di comprenderne le cause ed individuare le correzioni necessarie per prevenirle. È un metodo nato in ambito militare che esprime senza dubbio buona volontà e desiderio di miglioramento. Tutto ciò richiederebbe una cultura degli errori che nel nostro paese non è sviluppata quanto nei paesi anglosassoni dove ogni errore importante è oggetto di analisi e discussione nello staff medico senza colpevolizzare nessuno. La gran parte degli errori in medicina sono dovuti, però, a stanchezza degli operatori, ad eccessiva confidenza con le procedure o a mancanza di controlli. Ma talora ad ignoranza dovuta non certo a mancato aggiornamento, ma ad una vastità delle conoscenze a cui la superspecializzazione e la supersettorializzazione della medicina non tengono più dietro. L’organizzazione dei nostri ospedali è ancora basata su una rigida suddivisione per discipline mentre l’ammalato ha sempre più bisogno di un’assistenza interdisciplinare. Se al letto della zia di Lucia si fosse da subito avvicinato il laboratorista esperto di coagulazione, molto probabilmente oggi sarebbe ancora tra noi.

venerdì 1 maggio 2009

"HOMER SIAMO NOI"


Con questa battuta Eugenio Picano ha chiuso la conversazione nella saletta della Radioterapia di Brindisi, gremita nei suoi trenta posti inclusi quelli in piedi. Questa conferenza di Picano è stata anche l’occasione per inaugurare lo schermo al soffitto ed il proiettore di slides, attrezzatura tutta rigorosamente comprata ed installata con i soldi provenienti dalle donazioni dei pazienti all’associazione che sostiene le attività del reparto. Perché “Homer (Simpson) siamo noi”? Perché noi medici siamo i primi ad ignorare quante radiazioni ricevono i nostri pazienti e gli operatori sanitari quando prescriviamo un esame radiologico. E poiché un esame radiologico su tre è inappropriato, ciò vuol dire che un terzo della dose di radiazioni alla popolazione è inutile e concorre inutilmente ad un danno che in questo momento può essere quantificato come pari ad un dieci per cento dei tumori diagnosticati ogni anno. La lezione è durata tre quarti d’ora e spero che presto possa essere seguita sul web da tutti gli interessati. “Il paradosso dell’abbondanza”, quello della disponibilità di una gran quantità di indagini sanitarie tra cui quelle radiologiche è stato spiegato nei minimi dettagli da questo grande scienziato italiano che oggi a 50 anni dirige uno dei più importanti istituti biomedici del CNR a Pisa con un addentellato non troppo conosciuto a Lecce. Ma Eugenio Picano è noto ad una fetta del pubblico per un’altra vicenda tutta “italiana” che nel 2002 lo vide protagonista di un concorso per professore ordinario di cardiologia dove, pur avendo titoli scientifici superiori a quelli dei suoi esaminatori messi insieme, fu bocciato. Qualche tempo dopo i suoi esaminatori, tra i quali il prof Rizzon, cattedratico di cardiologia dell’Università di Bari, fu arrestato con l’altro componente della commissione con l’accusa di aver truccato il concorso. L’inchiesta fu seguita dalla giornalista Mara Chiarelli della Repubblica e i suoi articoli sono ancora consultabili sul web. Pare che l’inchiesta, a 6 anni dall’avvio, non sia ancora stata chiusa dalla Procura della Repubblica di Bari. Ma intanto Picano ha ricevuto il suo ristoro morale essendo stato scelto come guida dell’IFC-CNR.
Dopo la sua vicenda “concorsuale” Picano ha scritto due libri. Uno umoristico sulla ricerca in Italia (“La dura vita del beato Porco”) ed uno sull’inappropriatezza degli esami esami sanitari scritto a quattro mani col medico genovese Paolo Cornaglia Ferrarsi (“Malati di spreco”) .
Sono stato molto contento di averlo ospitato nell’ospedale di Brindisi. Anche io, pur non conoscendolo fino a qualche mese fa, mi sentivo moralmente in debito con lui e con la mia coscienza. Quando ero direttore generale della ASL Bat mi trovai a dover portare i saluti ad un congresso di cardiologi. Conoscendo la vicenda concorsuale di cui vi ho appena parlato, rimasi basito alle parole apologetiche che l’allora assessore alla sanità pugliese, Alberto Tedesco, indirizzò al prof. Rizzon presente in aula. Ora, dopo questo incontro, ho la coscienza un po’ più in pace.

lunedì 27 aprile 2009

LA BIOLOGIA MOLECOLARE

I servizi sanitari regionali del Sud d’Italia sono, stando ad un rapporto annuale pubblicato dall’Università Tor Vergata anche nel 2009, tutti al di sotto della media italiana. Spendono troppo per il personale ma hanno meno personale di tutti, non distribuiscono tutti i soldi che ricevono dallo Stato alle ASL ma ne trattengono una fetta non piccola, gestiscono in proprio una quota più bassa di servizi sanitari delegando il resto ai privati. Spendono meno per la prevenzione. Nei loro ospedali la complessità della casisitica è molto bassa. Ogni anno continuano a perdere centinaia di milioni di euro a vantaggio delle regioni del nord perché molti meridionali continuano a preferire, quando possono, le strutture sanitarie di quelle regioni a quelle a loro più vicine. E non gli si può dare torto. A parte obiettive difficoltà delle strutture sanitarie meridionali nella comunicazione con l’utenza per far conoscere le prestazioni erogabili e le modalità di accesso, c’è un ritardo tecnologico documentato anche dal rapporto annuale. Ci sono meno grandi macchine rispetto al nord. Un divario tecnologico che si ripercuote anche sulle attività di laboratorio. Sono rari i laboratori moderni che praticano esami di biologia molecolare con la quale soltanto oggi è possibile raggiungere diagnosi precise e terapie personalizzate.
È un problema di soldi? Non credo. È un problema di cultura che non c’è e di incapacità della politica di contrastare l’accademia medica che al sud ha prodotto prevalentemente sanità privata a discapito di quella pubblica. La politica al sud non mostra di saper realizzare ciò che più serve ai cittadini ma solo ciò che più serve ai baroni ed alle corporazioni sanitarie. Ma i baroni e le corporazioni sanitarie non avrebbero interesse ad una sanità moderna? Sì, ma a patto che non sia nelle mani di troppi e quindi meglio niente a nessuno che tutto a tutti. Una questione di potere. E tutto ciò mentre in questi giorni a Milano Veronesi annuncia un centro interamente dedicato alla biologia molecolare, questa nuova frontiera della medicina, da costruire accanto al suo Istituto Europeo di Oncologia, entrambe ovviamente iniziative for-profit. Alcuni anni fa commentai l’annuncio del raddoppio dell’Istituto milanese mentre nella mia regione qualche sindaco sbraitava per avere un day hospital oncologico nel suo paesello. L’Istituto milanese ha raddoppiato, il paesello ha il day hospital per qualche chemioterapia, ma i nostri ammalati per le malattie più gravi continuano a viaggiare.
Sarebbe davvero ora di interrogarli questi nostri concittadini che vanno a curarsi fuori, per conoscere le loro ragioni, nonché di misurare quanti ammalati guariscono nei nostri ospedali e non solo, come si è fatto sinora, quanti ne vengono curati.

martedì 21 aprile 2009

L'APOPTOSI DI MARIA

Maria alla fine muore a casa sua, forse per un ictus, qualche mese dopo che l’avevo visitata a domicilio. I parenti erano venuti in reparto qualche mese prima, da anni aveva alcune metastasi ossee con le quali conviveva. In un passato recente qualche seduta di radioterapia le aveva giovato, il dolore era passato. Ma adesso i dolori erano ritornati da un’altra parte e visto che la prima volta quella cura aveva funzionato, i figli mi chiedevano di fare ancora qualcosa. Ma la mamma non si poteva muovere da casa. Se mi avessero prelevato dall’ospedale e riportato indietro l’avrei visitata. E così fu fatto. Il paese dista quasi un’ora dall’ospedale. Maria è sul letto ma si alza e si muove in casa con un girello. Non ricordo più quanti anni avesse. Non più giovane ma neppure decrepita. Capelli bianchi e vestito nero come le nostre donne di paese. Una vita da bracciante. Le figlie maritate e casalinghe, timide e impacciate, ascoltano le mie domande ma devo ripetermi quasi sempre. Mi dicono che è andata a trovarla una dottoressa di un’associazione di volontariato che cura a casa i malati di cancro, ha detto che ci vuole una flebo ma prima bisogna fare degli esami di sangue e lei non ha il ricettario per non pagare le prestazioni. E così ci vuole il tempo per andare dal medico di famiglia per farseli pre-scrivere. Eppoi ci vuole qualcuno che venga a casa a fare il prelievo. Chiedo se l’associazione di volontariato abbia l’infermiere. Per il momento no. Strano, penso, eppure l’associazione oltre alle elargizioni dei benefattori riceve dalla asl milleduecento euro per ogni ammalato. E il laboratorio privato del paese? Neppure quello. Hanno chiesto alla asl più vicina un infermiere ma ancora non è venuto. Mi impegno a chiamare il giorno dopo l’ufficio competente. Conosco il medico che si occupa dell’assistenza domiciliare. Mi dice che hanno continue richieste ma la ditta che ha in appalto il servizio infermieristico per l’assistenza domiciliare non ce la fa ad intervenire subito. Mi assicura che farà di tutto per risolvere il problema. Telefono anche al medico curante che mi pone il problema se davvero quelle che si vedono alla radiografia sono metastasi visto che è passato tanto tempo. Sarebbe più tranquillo se si facesse una biopsia. Non gli rispondo neanche, lo prego di fare al più presto le ricette per gli esami di sangue. Non ne so più niente. Dopo alcune settimane la dottoressa dell’associazione mi telefona. Ha cominciato finalmente a fare le flebo ma i dolori sono intensi, mi chiede di ricoverarla. La radioterapia non ha posti letto in questa regione e così chiedo ai medici del reparto di medicina. Tutto pieno ma se viene subito, oggi, la vigilia di Natale, lo trova, sta per uscire un ammalato. Mi dicono di avvisare il pronto soccorso che quel posto è già prenotato. Lo faccio. Richiamo i figli di Maria per comunicare la disponibilità del posto in ospedale. Ma in macchina Maria non riesce più a viaggiare. Ci vuole l’ambulanza. I figli però non ne trovano una disponibile. Il 118 non può, l’ospedale non può andare a prendere nessuno da casa. Non so cosa fare, dico ai figli. Si agitano al telefono con me, poi capiscono che non è colpa mia. Non ne so più niente. Dopo un mese la dottoressa dell’associazione mi telefona per dirmi che Maria è morta per un ictus, tra i dolori.
Maria ha deciso di morire.
L’apoptosi è la morte programmata di una cellula: quando subisce un danno irreparabile, si attiva un meccanismo che non la fa più replicare e muore. Se questo meccanismo è alterato la cellula impazzisce e si replica col suo danno e si trasforma in tumore. Lo stesso succede agli uomini, forse. Maria ha visto che per lei non c’era modo di lenire il dolore ed ha preferito andarsene.

sabato 18 aprile 2009

COMINCIAMO DAI FATTI

Comincio così questa opera di commento ed informazione sulle cose che mi interessano e che forse interessano qualche decina di amici. Raccontare quello che studio e quello che penso riguardo a quanto mi capita di incontrare per lavoro o per vita sociale dal meridione di Italia all'inizio del XXI secolo mi sembra un buon esercizio di comprensione e di comunicazione. Lo spero. Gli spazi di libertà si vanno restringendo, anche comunicare diventa molto costoso. Il rumore delle TV e dei Media in generale oscura la realtà. Ecco, forse la cosa più semplice è proprio raccontare la realtà. Cercherò di fare questo senza pretendere che sia la verità. Sarà la mia verità così come verrà formandosi. Cercherò di guardare la realtà riconoscendo le lenti che di volta in voltà userò per farlo. Soprattutto mi preme dire le cose che non vanno perchè fanno stare male molte persone. Per questo potrei apparire "negativo" o "lamentoso", "incapace di vedere le cose buone e belle".
Devo dichiarare per forza i miei punti di partenza? i miei preconcetti? Anch'io ho una storia, una formazione, letture, simpatie per ideologie, per principi. Sono nato nel '60. Devo dire che ho cambiato opinione su molte cose nel corso degli anni. Credo che sia corretto quando il cambiamento si basa su nuove evidenze che ti hanno convinto diversamente. Lo scopo del blog non sono io ma ciò che sta succedendo in Italia ed al Sud in particolare. Cominciamo dai fatti.

FERMIAMO L'ABUSO DI ESAMI RADIOLOGICI

MENO RADIAZIONI IN MEDICINA FAREBBERO BENE ALLA SALUTE ED ALLE CASSE DEL SISTEMA SANITARIO

Ogni anno in Italia sono oltre 54 milioni gli esami medici che utilizzano le radiazioni ionizzanti cioè le radiografie e le TAC. Circa uno ogni abitante. A questi si aggiungano 3 milioni di esami di medicina nucleare. Oltre le radiazioni che provengono dal suolo e dal cosmo, negli ultimi anni la dose che si deposita nel nostro organismo a causa degli esami radiologici ha ormai raggiunto quella proveniente dalla natura. Una TAC dell’addome corrisponde a circa 500 radiografie del torace ed ad essa corrisponde un rischio di un tumore da raggi in più ogni mille esami. Gli esperti ritengono che negli ultimi anni il 10% dei tumori diagnosticati dipendano dalle radiazioni per uso medico. Purtroppo la consapevolezza di noi medici sul problema non è elevata ed ancor meno quella dei cittadini consumatori. Le leggi in materia ci sono. Un esame radiologico prima di essere eseguito deve essere “giustificato” ed essere effettuato in condizioni “ottimali”. Ciò vuol dire che non ne debba essere stato eseguito uno analogo da poco tempo, che non sia possibile eseguirne un altro in grado di fornire le stesse informazioni senza l’impiego delle radiazioni ionizzanti, che dopo l’esame richiesto il medico richiedente sappia bene cosa si farà sia in caso di esito negativo che positivo. La Regione Toscana ha approvato nel 2006 una legge con cui si impegna a far crescere la consapevolezza di cittadini e medici sull’argomento, realizzando anche le opportune verifiche e conducendo studi sulle dosi assorbite dai pazienti soprattutto bambini e adolescenti. La Confesercenti ha condotto un’inchiesta intitolata “100 casi di spreco in Sanità” dalla quale emerge che ospedali mai terminati, prescrizioni 'a pioggia', ricoveri ed esami inutili, scarso utilizzo della tecnologia, personale medico in esubero e paramedico insufficiente rappresentano alcuni dei fattori che hanno portato, nel corso del 2005, a sprecare risorse sanitarie per un totale di 17 miliardi e 400 milioni di euro. (circa 100 milioni è il budget annuale del nostro servizio sanitario nazionale e 6 quello della sola Puglia).
Una campagna di formazione e di informazione sui rischi da radiazioni ionizzanti per uso medico rappresenterebbe un atto dovuto oltre che per la salute collettiva anche per le casse della nostra sanità. Una campagna che dovrebbe andare di pari passo con quella sui farmaci e sui loro effetti collaterali e con quella sulla promozione delle tecniche di immagine che non usano le radiazioni ionizzanti come la Risonanza magnetica e gli ultrasuoni.
Nella nostra regione in questi mesi si rincorrono le richieste, le pretese ed i contenzioni per la PET-TAC in tutte le province. I cittadini dovrebbero saper che la pet tac è un’indagine moderna in grado di dare risposte a due domande: se un tumore ha già dato metastasi quando è stato diagnosticato e se una lesione sospetta dopo le cure è un tumore o meno. Ma devono anche sapere che un esame di quel tipo corrisponde a circa 1400 radiografie del torace e che esiste già un’altra metodica la quale senza usare raggi x è in grado di darci le stesse informazioni della pet-tac a costi sanitari ed economici di gran lunga inferiori. Si tratta della risonanza magnetica con diffusione total-body. Si avrebbe così anche l’enorme vantaggio di ridurre il rischio di cancro da radiazioni mediche . Si sa, per ridurre i tumori non servono tanto arance, azalee e uova di cioccolata ma meno inquinamento e meno radiazioni ionizzanti.
Nella Puglia delle energie rinnovabili sarebbe davvero coerente e necessaria anche in sanità una scelta a favore di tecnologie diagnostiche in grado contrastare l’abuso delle radiazioni ionizzanti notoriamente in grado di provocare il cancro.