martedì 22 marzo 2011

PUGLIA: INUTILE CAMBIARE I DIRETTORI GENERALI


Qualche settimana fa una seconda bufera giudiziaria si è abbattuta sulla sanità pugliese, quella del corso “rivoluzionario” per intenderci.
Ci sono infatti anche quelle del corso “conservatore” ma la loro memoria non sopravvive alla velocità del flusso mediatico.
La lettura degli atti giudiziari non sarà edificante ma è sicuramente istruttiva.

Preoccupato dalla “nudità” in cui questa disponibilissima lettura ha posto le attuali forze di governo, il maggiore partito della coalizione ha “unanimemente” chiesto due cose: l'azzeramento dei vertici delle asl (alias direttori generali) e il loro reclutamento per “concorso”.
Se fossero sinceramente orientate ad ottenere un concreto cambiamento della situazione, le due proposte sarebbero perfettamente inutili.

Nel primo caso si tratterebbe di cambiare i burattini lasciando lo stesso burattinaio. D'altronde non è pensabile che il burattinaio si suicidi.
Infatti la sanità è l'unico settore in cui la gestione è affidata direttamente alla politica. Nella scuola, nell'università e nella magistratura i gestori sono eletti tra gli operatori, in sanità no.
È un retaggio della riforma del '78, modificato in maniera distorsiva nel '92, per cui la sanità deve essere gestita dai cittadini, prima attraverso i suoi rappresentanti (comitati di gestione) e poi attraverso manager nominati dai loro rappresentanti (attuali direttori generali).
Alla fine i cittadini non hanno mai contato niente e i politici hanno fatto e sfatto a loro piacimento.
Pertanto, se il comando rimane sempre in mano alla politica, a che serve cambiare i direttori generali? Se si cambiassero solo quelli che, avendo ricevuto più finanziamenti, non hanno migliorato il deficit di bilancio, se ne salverebbero solo due (BAT e LECCE, vedi bilanci del 2008) e sarebbe già un criterio.
Ma tutti a casa in base a quale criterio? Perché non hanno resistito alle molestie di qualche politico? Allora avrebbero avuto bisogno di qualche corso di ascetica, che li temprasse nella tentazione!

C'è poi la seconda proposta, quella del “concorso”.
Qui non voglio dilungarmi in ritrite questioni moraleggianti. Ma affido la conclusione di questo articolo ad una divertente citazione di quanto scritto da una rivista scientifica in proposito.
“ Nel numero del 25 Novembre 1993, l’autorevolissima rivista scientifica Nature dedicava quasi un’intera pagina al sistema meritofobico del “concorso” (in italiano nel testo) per il reclutamento di professori nell’Università italiana. Lo spunto era offerto dall’accettazione, da parte del TAR, di un ricorso presentato dal solito plurititolato ricercatore trombato da 5 colleghi, vincitori tutti molto meno titolati di lui.
L’articolo era illustrato da una vignetta con un notabile rinascimentale che mostrava ad un Leonardo da Vinci visibilmente contrariato i risultati di un immaginario, ma verosimile concorso, i cui vincitori erano nell’ordine: 1) A. Borgia; 2) C. Borgia; 3) D. Borgia; 4) F. Borgia; 5) H. Borgia. Nel mostrargli la graduatoria, il commissario consolava così l’illustre trombato: “Non fa niente, Leonardo, andrà meglio la prossima volta”.”





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sabato 12 marzo 2011

PER UNA TOTALE RIFORMA SANITARIA




Quando si parla di sanità è ormai inevitabile che si finisca per parlare di politica, di addossare responsabilità o meriti a questo o a quel partito, a questo o a quel governo nazionale o regionale. Un tale fenomeno non rappresenta una distorsione della verità ma è la conseguenza di un dato di fatto per cui anche semplici scelte organizzative vengono decise dalla politica quando questa è sollecitata da interessi particolari, quasi mai pubblici. Senza risolvere questo nodo, sarà difficile osservare nei prossimi anni una maggiore efficienza del sistema. Tutt'altro.

I possibili correttivi non riguardano le competenze regionali ma in generale la normativa nazionale.

In primo luogo sarebbe necessario riaffidare la gestione delle strutture alle professioni sanitarie. Come nella scuola, nella giustizia, nell'università il management sanitario dovrebbe essere eletto dagli operatori. I direttori generali (degli ospedali e dei distretti separatamente) così nominati dovrebbero essere affiancati da consigli di amministrazione, anche essi elettivi. Il governo regionale dovrebbe produrre le norme regolatrici e basta.

Una ulteriore riforma dovrebbe riguardare il finanziamento del sistema. Non più una quota capitaria alla unità territoriale, la ASL attuale su base provinciale, ma un budget per la diagnosi e la cura territoriale (diagnostica ambulatoriale, farmaci ecc) da affidare alle famiglie che possono spenderlo dove credono, ed una remunerazione degli ospedali a ricovero su base centrale. Le regioni garantirebbero quindi l'emergenza, la prevenzione e gli eventi sanitari più gravi che richiedono ricovero ed interventi chirurgici.

Declinicizzare gli ospedali e ritornare agli ospedali di insegnamento. I medici tornerebbero cioè formarsi, come era prima della riforma Gentile, negli ospedali sotto la guida di medici qualificati, quelli che prima si chiamavano Liberi Docenti. Ciò permetterebbe di coniugare negli ospedali ricerca ed assistenza con grande vantaggio per entrambe.

In poche parole, fuori la politica dalla gestione, sopravvivi come struttura se lavori ed attrai pazienti, attrai pazienti se studi e sei qualificato.

Purtroppo quando si è costretti a dire alcune ovvietà, vuol dire che si è toccato il fondo.





venerdì 4 marzo 2011

IL CARBONE PULITO E LA SANITA' DORMIENTE


Alcuni ricercatori di varia nazionalità (USA, Svizzera, Nuova Zelanda) hanno recentemente (febbraio 2011) pubblicato un interessante lavoro scientifico in cui mettono in relazione i consumi elettrici, i consumi di carbone come combustibile e alcuni risultati di salute. L'analisi è stata condotta su serie di dati relativi a 41 paesi nel mondo e sulle condizioni di salute in un periodo che va dal 1965 al 2005. L'elettricità serve per ottenere acqua potabile e per riscaldare gli ambienti di vita senza inquinarne l'aria. Ma i costi sanitari esterni agli impianti di produzione di energia con combustibile fossile come il carbone rappresentano circa il 70% dei costi esterni totali e sono stati stimati negli USA, dalla Accademia Nazionale delle Scienze, in 120 miliardi di dollari solo per il 2005.

L'analisi ha evidenziato che l'aumentato consumo di elettricità è associato ad una riduzione della mortalità infantile per quei paesi in cui nel 1965 la stessa era superiore a 100 casi per 1000 nati vivi, e ad un aumento dell'aspettativa di vita se inferiore ai 57 anni nel 1965 (e non è il nostro caso per entrambi i parametri!). Gli autori sostengono che i loro dati dimostrano che un crescente consumo di carbone è associato ad un aumento della mortalità infantile e ad una riduzione dell'aspettativa di vita al netto dei vantaggi anzidetti. Per questo concludono che l'aumento di consumo di elettricità in paesi con una mortalità infantile inferiore a 100 per 1000 nati vivi “non comporta un maggior beneficio in termini di salute mentre il consumo di carbone produce significativi impatti negativi sulla salute”.

Continuano, quindi, ad essere prodotti lavori che confermano l'impatto negativo del consumo di carbone sulla salute delle popolazioni laddove viene impiegato. Ogni nuovo lavoro consolida quanto è già ben noto e cioè che le centrali a carbone, per quanto vantaggiose per il basso costo del combustibile, hanno un costo “esterno” all'impianto che viene addebitato alla collettività. Altrove queste verità non si nascondono e gli stessi governi commissionano analisi approfondite per stabilire i vantaggi e gli svantaggi di manutenere, riconvertire o dismettere certi impianti.

Ma cosa succede da noi? Si confonde l'indubbio valore sociale del lavoro prodotto dall'industria energetica con la sua innocuità sanitaria ed ambientale.
Se su Torchiarolo incide il 10% di inquinanti provenienti da Cerano ed il 15% di quelli provenienti dal Petrolchimico, perché un rimedio per contenere gli sforamenti delle letture delle centraline di quel Comune si deve pagare al 100% con denaro pubblico? Valutiamo, pur con i limiti della scienza, l’impatto sulla qualità dell’aria delle singole componenti. Ognuno paghi per quello che inquina, soprattutto se lo fa per profitto e non per riscaldarsi.

Il rigore scientifico paga sempre, la propaganda può nascondere la polvere sotto il tappeto, ma prima o poi, in termini di inquinamento o di danni alla salute, la verità emergerà. Bisognerebbe replicare gli studi che vengono effettuati in tutto il mondo vicino alle centrali a carbone anche a Brindisi. Perché questo non si fa?
Il Servizio Sanitario Regionale, per quanto impegnato – come risulta dagli atti giudiziari pubblicati in questi giorni – in tutt'altre faccende, dovrebbe valutare più attentamente lo stato di salute della popolazione in rapporto ai più svariati fattori di rischio. Altrimenti non ha molto senso sbracciarsi per il diritto alla salute quando la salute è già stata irrimediabilmente persa.