lunedì 20 giugno 2011

Dieci anni di sanità in Puglia


19 maggio 2011 Brindisi

di Emilio Gianicolo

È arduo il compito di mostrare in poche righe punti di forza e punti di debolezza di un sistema sanitario in confronto ai sistemi sanitari di altre regioni.

Il compito è difficile per almeno due motivi:

  1. un sistema sanitario è composto di persone, da strumentazioni, da edifici, da ospedali, da relazioni tra persone, da relazioni tra operatori sanitari e tra gli operatori e i pazienti.

È un sistema composto di interessi generali e di interessi di parte e di tanto altro ancora.

È un sistema estremamente complesso e, in quanto tale, complesso il compito di trovare una chiave di lettura, indicatori che diano l’idea di come evolve o involve, di come progredisce o di come regredisce.

  1. Ma il compito è difficile anche per un altro motivo. È più interessante per l’amministratore, per il politico, per i tecnici, per noi cittadini, sapere come è cambiata (se è cambiata) la sanità pugliese o capire se e come è cambiato lo stato di salute di noi pugliesi?

La domanda dunque è: guardare alla sanità, o guardare alla salute?

Certamente la salute dipende anche dalla qualità dell’assistenza sanitaria, ma questo non è che un aspetto, secondo alcuni nemmeno il principale, che influenza la nostra salute.

Si pensi ad altri aspetti quali il disagio economico e sociale. Quanto, per esempio, lo stato di salute di una persona è influenzato dalla condizione di disoccupazione?

Sappiamo (fonte ISTAT) che il 5,1% delle famiglie Italiane (quasi un milione e 300 mila famiglie), ha almeno un componente che, pur avendo necessità di prestazioni specialistiche vi rinuncia per motivi economici e che tale percentuale sale al 9,3% per le prestazioni odontoiatriche; sono infatti oltre 2milioni e 200mila le famiglie che non possono permettersi una visita dal dentista.

E quanto la salubrità dell’ambiente di vita e di lavoro influenza la nostra salute?

E quanto una corretta o non corretta gestione del ciclo dei rifiuti ha effetto sul stato di salute?

Ed allora una politica della salute è la sintesi di diverse politiche:

  • Certamente di una politica sanitaria, dell’assistenza sanitaria;

  • ma anche di una politica ambientale orientata alla salute;

  • di una politica del lavoro orientata alla salute;

  • di una politica dei rifiuti orientata alla salute.

Il piano di rientro

Il piano nasce dalla necessità che la Regione ha avuto di riorganizzare i servizi sanitari per ridurre i costi. Tutto ciò a causa dello “sforamento” del patto di stabilità.

Che cos’è il patto di stabilità?

È un patto tra i paesi dell’aerea dell’euro di contenere le spese della pubblica amministrazione al di sotto di certi parametri. Ovviamente, a cascata, tutti gli enti locali (regioni, province comuni ecc.) devono adeguarsi a questo patto.

Dal piano emergono almeno due criticità:

  1. la prima riguarda le persone che vanno fuori regione per curarsi, la cosiddetta mobilità passiva;

  2. la secondo riguarda una spesa farmaceutica territoriale che è fuori controllo;

La mobilità passiva

Nel 2009, i ricoveri che si riferiscono ai cittadini pugliesi sono stati 750.000.

I ricoveri fuori regione sono sta circa 67mila e rappresentano il 9% dei ricoveri totali. Dal 2001 al 2009 la mobilità passiva è aumentata. Ossia sono aumentati – in valore assoluto e in percentuale - i ricoveri fuori regione. Erano infatti 61.100 nel 2001 (il 6,3% del totale). L’aumento è dunque di 6mila ricoveri.

Perché si va fuori regione per curarsi?

Quanto si spende per curarsi fuori regione?

Alla prima domanda possiamo rispondere parzialmente. Cioè possiamo sapere per quali malattie i nostri concittadini pugliesi si ricoverano fuori regione. E troviamo alcuni elementi molto interessante.

I tumori sono la prima causa di ricovero fuori regione.

Nel 2009 ci sono stati 68mila ricoveri per tumore, di questi 7.437 (oltre il 10%) sono stati fatti fuori regione, tipicamente in Lombardia, Emilia Romagna e Lazio.

Un altro dato molto interessante è che la mobilità extraregionale per ricoveri riguarda per la maggior parte (oltre il 55%) patologie a bassa complessità. Secondo gli estensori del piano, la scelta di recarsi in ospedali anche distanti - per patologie a bassa complessità - ha diverse motivazioni: la principale è sicuramente la scarsa informazione del paziente e spesso anche degli operatori sanitari rispetto alle possibilità offerte in regione;

segue poi la problematica delle liste di attesa e così via.

Quanto ci costa la mobilità passiva?

Se guardiamo al rapporto CEIS (il CEIS è il centro internazionale di studi economici dell’università Tor Vergata di Roma che ogni anno pubblica un rapporto sulla sanità italiana) vediamo che nel 2008 la Regione Puglia ha speso per la mobilità passiva 175 milioni di euro.

È un saldo, ossia la differenza tra quanto riceviamo dalle altre regioni italiane per i cittadini che scelgono di ricoverarsi in Puglia e quanto restituiamo alle altre regioni per la cura di nostri concittadini pugliesi.

Nel 2008 si sono spesi 175milioni di euro. Era 90 milioni, circa la metà di quanto si spende adesso, il saldo del 2001.

I ricoveri a bassa complessità, quelli che si potrebbero fare anche in Puglia, se i cittadini e gli operatori sanitari fossero adeguatamente informati e se le liste di attesa fossero adeguate ci costano circa 45 milioni di euro all’anno.

I ricoveri extraregionali per patologie di alta complessità costano circa 80 milioni per anno.

Sarebbe molto utile che le ragioni che spingono le persone ad andare fuori regione a curarsi fossero studiate chiedendo direttamente ai pazienti i motivi che li spingono ad andare fuori regione, informandosi su chi tra familiari, amici medico di base o specialista li ha indirizzati fuori regione e analizzando i costi, anche quelli sostenuti direttamente dalle famiglie per spostamenti e soggiorni in altre regioni.

La spesa farmaceutica territoriale

Un altro elemento critico che emerge dalla lettura del piano di rientro è quello che si riferisce alla spesa farmaceutica.

La Regione Puglia ha una spesa farmaceutica, in particolare quella territoriale, che è in eccesso rispetto alla media italiana. Per dare l’idea della dimensione del problema, è sufficiente sapere che ciascuno di noi pugliesi, in media, ha speso nel 2009 210 euro in farmaci. 210 euro. Un italiano in media spende 25 euro in meno. I veneti ne hanno spesi 50 in meno di noi all’anno.

Una domanda da porsi è perché in Puglia si spendono così tanti soldi in farmaci? È un indicatore di cattivo stato di salute? Cioè spendiamo tanto perché stiamo peggio? O perché c’è qualcosa che non funziona.

Gli estensori del piano hanno 3 ricette – la cui efficacia sarà interessante comprendere e verificare - per risolvere il problema:

  1. Incentivazione del ricorso ai farmaci generici;

  2. Riorganizzazione dei ticket farmaceutici;

  3. Individuazione delle fonti dell’aumento prescrittivo.

Le apparecchiature tecnico-biomediche

Un dato molto importante che è contenuto nel rapporto CEIS riguarda la presenza o meno di apparecchiature tecnico-biomediche per la diagnosi e la cura nelle strutture di ricovero e cura presenti sul territorio. La presenza di apparecchiature è considerata come un elemento cruciale per definire la qualità dell’offerta di tali strutture.

I dati ci dicono che, ancora una volta, sono le regioni del nord quelle con la presenza maggiore di apparecchiature. La media in Italia è di 4,85 apparecchiature ogni 100mila ab. In puglia il tasso è di 4.18. Ciò che colpisce però è la frequenza con cui, nelle regioni meridionali – in particolare in Sicilia Calabria e Puglia - troviamo queste apparecchiature nelle strutture private accreditate.

Frequenza che è inferiore solo al dato di Bolzano e della Lombardia.

Negli ospedali pubblici del sud, dunque, ci sono meno apparecchiature biomediche di quelle che ci sono negli ospedali pubblici del nord. È un dato questo che trova evidentemente riscontro in scelte politiche tendenti a privilegiare il privato.

Complessità

La non-omogeneità nella distribuzione delle apparecchiature si accompagna ad una diversa complessità dei casi trattati nelle strutture di nord, centro e sud Italia.

Le Regioni caratterizzate da una casistica più complessa sono ancora quelle settentrionali: Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria alle quali si aggiunge la Toscana.

Le altre Regioni centrali si posizionano nella zona intermedia, mentre tutte le Regioni meridionali (non fa eccezione la Puglia) presentano valori nettamente inferiori.

Questo indicatore, infatti, è compreso tra 90 e 100 in Piemonte (quanto maggiore è il punteggio tanto maggiore è la complessità); e in Puglia è poco più di 20.

Inappropriatezza

Un altro triste primato per le regioni meridionali è, purtroppo, rappresentato dall’inappropriatezza dei ricoveri. La Toscana è la prima regione in Italia per appropriatezza dei ricoveri. La Calabria è l’ultima.

La Puglia è quart’ultima, dietro a Sicilia, Basilicata, Abruzzo e a tutte le regioni del centro-nord.

L’appropriatezza dei ricoveri purtroppo sembra non risiedere in Puglia.

Conclusioni

Davanti a questo quadro e per tornare al titolo di questo incontro, penso che la nostra sanità non goda di buona salute. Abbiamo visto che ci sono diverse criticità: la mobilità passiva; la spesa farmaceutica fuori controllo; una carente dotazione di apparecchiature biomediche; bassa complessità dei ricoveri ed alta inappropriatezza.

Di là dalla propaganda di destra e sinistra questi sono i problemi sul tappeto.

Io penso sia necessario recuperare lo spirito e i valori del servizio sanitario pubblico.
La salute e la sanità – che è bene ribadirlo, rappresenta un determinante della salute, non l’unico, perché ad essa si accompagna, per esempio, la prevenzione primaria e cioé la garanzia di un ambiente di vita e di lavoro salubre – dovrebbero essere oggetto di riflessione politica non di strumentalizzazione elettoralistica.

Ed è la riflessione sui valori che urge avviare. Una riflessione che deve cominciare dall’articolo 32 della costituzione che definisce la salute diritto fondamentale e interesse della collettività. Valori che per essere realizzati necessiterebbero di una Politica-Altra. Che, è evidente, non può essere la politica della perenne-emergenza.

Allo stesso tempo penso che questo territorio, questa regione abbia le risorse intellettuali per avviare – con onesta intellettuale - questa riflessione. Ed è da qui, dall’onesta intellettuale, che bisogna cominciare questo percorso di riflessione. Oltre la contingenza. Oltre la destra e la sinistra.

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