venerdì 5 agosto 2011
SAN RAFFAELE, ORA PRO NOBIS
Vendola è politico troppo esperto e conoscitore dell’animo umano troppo profondo per non aver ponderato tutti gli effetti collaterali della sua battaglia per l’ospedale privato-pubblico a Taranto. Quel che sarà il San Raffaele del Mediterraneo nel 2016 ed oltre, dio solo lo sa. Quel che più conta, a mio parere, soprattutto è la simbologia che il dibattito sta generando.
Vendola sa bene che i pugliesi non si fidano di buona parte del servizio sanitario locale, così come non si fidano dell’università, dei politici, delle istituzioni e delle agenzie locali. Egli stesso credo viva come un tradimento ed un fallimento le vicende giudiziarie e la permanente arretratezza della sanità pugliese sotto il suo governatorato tanto da definirla “bubbone” e “casinò” in una deposizione del 2009. Il cavallo di Troia per la presa del palazzo nel 2005, la sanità appunto, si è trasformata in minaccia del mito e del consenso. Ecco allora il simbolo della buona sanità, una meta dei pellegrinaggi della speranza che si trasferisce, come su un tappeto volante, addirittura a Taranto, la città più inquinata e malata. Niente da dire, un colpo da maestro.
Ma appresso al primo simbolo se ne generano altri. L’abbraccio benedicente con il Vaticano, neopadrone del San Raffaele, il cui viatico serve, come quello degli USA e dei filoisraeliani, per governare in Italia. E la chiesa è un problema di non poco conto per la missione nazionale di Vendola. Egli è consapevole che non vedremo cambiare nel corso delle nostre vite, la parte più violenta ed emarginante delle attuali leggi morali della religione cattolica, ma sa bene che sarà sicuramente apprezzata la sua buona disposizione verso quelle “opere di carità” che sono gli ospedali cattolici.
L’incubatore mediatico genera anche il simbolo della fine della baresità. La “prima” università medica d’Italia (e a che posto è scesa quella “barensis”?) sbarca in Puglia e non a Bari. È l’inizio di una Puglia bicentrica? Sicuramente Vendola ha ponderato la reazione, silenziosa e long acting, dei dinosauri dell’accademia. Ha ancora viva la caduta di Fitto per l’oltraggio agli interessi di certa classe medica. E la concretezza di questo simbolo, chiamiamolo, della baresità ferita, è tanto palpabile che il Sindaco di Bari è scattato come una molla e con lui buona parte del PD barese. Questa infatti non dovrebbe scandalizzarsi per il fatto che si danno soldi pubblici ad un privato perché li gestisca. È stato già fatto in Puglia e con il suo consenso, non può essere questa, allora, la ragione della veemente reazione.
Ma c’è ancora un altro simbolo che si genera, anzi si rinforza. Il mantra continuamente ripetuto, in opere ed omissioni, che la sanità pubblica sia ormai irrecuperabile. Tanti soldi pubblici che non producono quanto potrebbero. Un pachiderma alimentato con denaro collettivo che non si piega al suo compito pubblico. Gli alfieri, buffi e retrogradi, di questo compito, fedeli alla missione pubblica del servizio sanitario, si aggirano illusi in strutture dove molti pensano solo all’interesse privato. Come i soldati giapponesi che dopo la fine della seconda guerra mondiale si rifugiarono per decenni nelle isole deserte in attesa degli americani.
L’arcangelo Raffaele, il dolce accompagnatore di Tobia e guaritore della sua cecità, si sentirà invocato in questi giorni, ma, dopo una breve visita in volata, capirà che il suo ospedale nascerà accanto alle macerie degli altri e non so se è proprio quello che desidera sebbene i porporati, che si considerano suoi amici, se la ridano contenti.
Le sento già le critiche dei miei amici per questa lettura disillusa, senza passione e quasi esangue. Le capisco, mi dispiace. Ma il nostro sangue non è più qui, è con i nostri figli e con tutti i giovani che hanno deciso di non stare più tra le macerie.
San Raffaele, ora pro nobis.
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