Maria alla fine muore a casa sua, forse per un ictus, qualche mese dopo che l’avevo visitata a domicilio. I parenti erano venuti in reparto qualche mese prima, da anni aveva alcune metastasi ossee con le quali conviveva. In un passato recente qualche seduta di radioterapia le aveva giovato, il dolore era passato. Ma adesso i dolori erano ritornati da un’altra parte e visto che la prima volta quella cura aveva funzionato, i figli mi chiedevano di fare ancora qualcosa. Ma la mamma non si poteva muovere da casa. Se mi avessero prelevato dall’ospedale e riportato indietro l’avrei visitata. E così fu fatto. Il paese dista quasi un’ora dall’ospedale. Maria è sul letto ma si alza e si muove in casa con un girello. Non ricordo più quanti anni avesse. Non più giovane ma neppure decrepita. Capelli bianchi e vestito nero come le nostre donne di paese. Una vita da bracciante. Le figlie maritate e casalinghe, timide e impacciate, ascoltano le mie domande ma devo ripetermi quasi sempre. Mi dicono che è andata a trovarla una dottoressa di un’associazione di volontariato che cura a casa i malati di cancro, ha detto che ci vuole una flebo ma prima bisogna fare degli esami di sangue e lei non ha il ricettario per non pagare le prestazioni. E così ci vuole il tempo per andare dal medico di famiglia per farseli pre-scrivere. Eppoi ci vuole qualcuno che venga a casa a fare il prelievo. Chiedo se l’associazione di volontariato abbia l’infermiere. Per il momento no. Strano, penso, eppure l’associazione oltre alle elargizioni dei benefattori riceve dalla asl milleduecento euro per ogni ammalato. E il laboratorio privato del paese? Neppure quello. Hanno chiesto alla asl più vicina un infermiere ma ancora non è venuto. Mi impegno a chiamare il giorno dopo l’ufficio competente. Conosco il medico che si occupa dell’assistenza domiciliare. Mi dice che hanno continue richieste ma la ditta che ha in appalto il servizio infermieristico per l’assistenza domiciliare non ce la fa ad intervenire subito. Mi assicura che farà di tutto per risolvere il problema. Telefono anche al medico curante che mi pone il problema se davvero quelle che si vedono alla radiografia sono metastasi visto che è passato tanto tempo. Sarebbe più tranquillo se si facesse una biopsia. Non gli rispondo neanche, lo prego di fare al più presto le ricette per gli esami di sangue. Non ne so più niente. Dopo alcune settimane la dottoressa dell’associazione mi telefona. Ha cominciato finalmente a fare le flebo ma i dolori sono intensi, mi chiede di ricoverarla. La radioterapia non ha posti letto in questa regione e così chiedo ai medici del reparto di medicina. Tutto pieno ma se viene subito, oggi, la vigilia di Natale, lo trova, sta per uscire un ammalato. Mi dicono di avvisare il pronto soccorso che quel posto è già prenotato. Lo faccio. Richiamo i figli di Maria per comunicare la disponibilità del posto in ospedale. Ma in macchina Maria non riesce più a viaggiare. Ci vuole l’ambulanza. I figli però non ne trovano una disponibile. Il 118 non può, l’ospedale non può andare a prendere nessuno da casa. Non so cosa fare, dico ai figli. Si agitano al telefono con me, poi capiscono che non è colpa mia. Non ne so più niente. Dopo un mese la dottoressa dell’associazione mi telefona per dirmi che Maria è morta per un ictus, tra i dolori.
Maria ha deciso di morire.
L’apoptosi è la morte programmata di una cellula: quando subisce un danno irreparabile, si attiva un meccanismo che non la fa più replicare e muore. Se questo meccanismo è alterato la cellula impazzisce e si replica col suo danno e si trasforma in tumore. Lo stesso succede agli uomini, forse. Maria ha visto che per lei non c’era modo di lenire il dolore ed ha preferito andarsene.
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