mercoledì 23 giugno 2010

QUANDO LA SALUTE NON DIPENDE DAGLI OSPEDALI

Una singolare notizia di salute è circolata in questi giorni tra gli addetti ai lavori. Si è svolto nell’isola di Lipari l’ XI Congresso Siculo-Calabro della Società italiana di Igiene, Medicina preventiva e Sanità pubblica, dove è stato presentato lo studio sull’organizzazione sanitaria nelle isole minori italiane che tra poco saranno prese d’assalto in vista della stagione turistica.

In queste isole si nasce di più, si muore meno ma non si riescono a rispettare i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) soprattutto riguardo interventi urgenti e prevenzione terziaria per malattie croniche come diabete e tumori. Nelle 46 isole minori italiane (divise in 36 comuni di 7 regioni e con solo 8 ospedali) la distribuzione d’età è sovrapponibile a quella nazionale, la natalità è in crescita (9,5 per 1000 contro 9 per 1000 in Italia) mentre la mortalità è più bassa rispetto a quella nazionale (9,2 contro 10,6). L’efficacia degli interventi sanitari, come dimostrano le esperienze dei “cerchi concentrici” delle isole greche e delle Orcadi (in cui un’isola baricentrica nell’ambito di un arcipelago funziona da capofila), dipende dai sistemi di trasporto e dallo sviluppo delle nuove tecnologie come la telemedicina.

Il succo mi sembra questo: anche se non c’è l’assistenza sanitaria disponibile in una grande città, nelle isole italiane si nasce di più e si vive più a lungo. Se c’è una patologia che richiede una cura complessa (tumori, cardiopatie ecc) bisogna spostarsi. È un po’ quello che succede in tutto il Sud d’Italia. Al Sud si vive meglio che al Nord ma se ti ammali sono affari tuoi. Verrebbe istintivo chiedere allora più servizi sanitari, più ospedali, più medicina insomma. È quello che emerge anche dal dibattito nostrano sugli ospedali da chiudere. I politici fanno a gara per spararla grossa, qualcuno fa i calcoli sui posti letto, ma nessuno prende il toro per le corna. Nessuno lancia una campagna di studio sullo stato di salute della popolazione, rispetto alle diverse fonti di rischio. Solo dopo aver fatto ciò si può stabilire cosa serve in termini di prevenzione primaria e terziaria. La prima evita che le malattie insorgano, la seconda cura quelle già insorte. Ma per curare le malattie gravi del nostro tempo servono pochi ospedali, con molto personale e tecnologia complessa e costosa. Potremo averli anche qui senza rinunciare ai molti ospedali di basso livello presenti nella nostra regione? Non credo. I soldi disponibili per gli ospedali, circa la metà del budget per la sanità, vanno spesi meglio: un buon sistema di emergenza e pochi centri di eccellenza. Ma per fare questo bisogna scontrarsi con le corporazioni degli operatori che non vogliono cambiare abitudini e perdere privilegi. Non è vero che i cittadini vogliono l’ospedale sotto casa. I cittadini quando stanno male sono disposti a fare, e non da ora, anche migliaia di chilometri per curarsi.

Partiamo dalla salute e non dagli interessi degli operatori, una volta tanto.

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