martedì 19 gennaio 2010

SALUTE E GUERRA: LA SCIENZA A SERVIZIO DELL’UOMO




L’esperienza dell’Istituto di salute pubblica e di comunità dell’Università di Birzeit, in Palestina, rappresenta un esempio di medicina applicata alle reali condizioni di deprivazione della popolazione. Così come il medico finalizza la sua opera al sollievo della sofferenza individuale, la medicina pubblica o sociale e, nel suo ambito, l’epidemiologia dovrebbero essere orientate all’individuazione dei parametri sociali, economici e politici che influenzano le condizioni di vita e (di conseguenza) di salute di una collettività e dei singoli.
E’ noto, infatti, che le condizioni di salute di una popolazione vengono influenzate dal grado di sviluppo dei servizi sanitari solo per il 20 per cento, mentre nella restante parte giocano un ruolo rilevante le condizioni socioeconomiche.
Un esempio illuminante, a questo riguardo, si trova in un recente lavoro di Rita Giacaman (direttrice del citato istituto palestinese) e dei suoi collaboratori apparso sull’European Journal of Public Health, lavoro che tratta dell’impatto sui civili palestinesi dell’invasione dell’esercito israeliano nelle città della West Bank. L’invasione prese il via 29 marzo del 2002 e il seguente coprifuoco fu imposto in 5 città dei territori occupati per 45 giorni consecutivi. I ricercatori palestinesi hanno studiato l’impatto dell’occupazione israeliana sulla qualità della vita sociale, attraverso la somministrazione di questionari che presentavano domande riguardanti danni alle abitazioni, alle finanze familiari e direttamente alla salute. E’ stato anche implementato un sistema di scoring apposito. I danni alle abitazioni sono risultati di vario genere: dalle interruzioni della fornitura di energia elettrica e di acqua, ai colpi di arma da fuoco e alle esplosioni, fino alla distruzione della propria abitazione o di quelle vicine. I danni di tipo finanziario comprendevano la perdita del lavoro, la carenza di cibo e la carenza di liquidità; i danni alla salute riguardavano infine la necessità di trasferire la propria abitazione, l’accesso alle cure mediche ed episodi di stress psicologico. I risultati dei questionari sono poi stati sottoposti ad analisi statistica multivariata.
Le carenze di acqua e di elettricità furono peggiori nella città di Jenin e ciò è in accordo con la severità dell’attacco militare e con i danni riscontrati alle abitazioni civili in quel capoluogo. In quella città, infatti, il 91 per cento degli intervistati riportava esperienze di esplosioni e colpi di arma da fuoco, mentre a Tulkarm l’87 per cento riportava distruzioni delle infrastrutture.
Nella città di Betlemme è stata invece rilevata la maggiore perdita di posti di lavoro (29 per cento degli intervistati), probabilmente in relazione al crollo del turismo religioso.

Altre spiegazioni per la perdita di lavoro fornite dagli intervistati includevano il collasso dell’economia locale, la distruzione degli edifici in cui avevano lavorato, nonchè il continuo e serrato assedio che impediva di raggiungere i luoghi di lavoro. Jenin sembrava avere il peggiore tasso di sofferenza per scarsità di viveri (64 per cento); vengono menzionati i metodi adottati per fronteggiare questa situazione, quali il mangiar meno e il razionamento del cibo, con una crescente preoccupazione per lo stato nutrizionale della popolazione e in particolare dei bambini. Ramallah risultava invece la città più colpita dalla carenza di accesso alle cure mediche. Tali carenze includevano,
in particolare, la gestione di malattie croniche come il diabete, l’ipertensione e le malattie cardiache. Viene anche riportata la carenza di antibiotici per il trattamento delle infezioni. Alcuni intervistati hanno riferito che, per fronteggiare la situazione, ne veniva somministrata una dose quotidiana più bassa per coprire più giorni di terapia.
Sempre a Ramallah viene riportata una percentuale più elevata di risposte che riferiscono l’insorgenza di problemi psicologici come insonnia, paura, episodi di tremore, stanchezza, depressione, disperazione, enuresi e, tra i bambini, episodi di pianto incontrollato.
L’analisi condotta ha messo in evidenza che i danni di tipo sociale ed alla salute erano significativamente più alti tra i soggetti con un livello di istruzione più basso e nei nuclei familiari più numerosi, mentre non si mostravano differenze in base al sesso. I danni di tipo psicologico risultavano significativamente più intensi quando avvenivano distruzioni della proprietà, carenze alimentari o difficoltà di accesso alle cure.
Gli autori concludono che sebbene «le attività di aiuto siano importanti, queste non forniscono una soluzione permanente alla sofferenza dei civili. Una soluzione permanente e giusta alle violazioni dei diritti umani che i civili palestinesi continuano a subire rappresenta l’unico rimedio in grado di produrre una migliore salute e una accettabile qualità di vita». Il lavoro riportato rappresenta l’applicazione di una metodologiascientifica alle condizioni di salute di una popolazione che vive in permanente stato di assedio, come quella palestinese
nei territori occupati.

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